il dibattito
«Rinnovabili, serve coraggio»: come coniugare energia pulita con tutela del paesaggio
Stefano Lacatena, consigliere regionale delegato all’urbanistica, replica all’assessore all’ambiente Serena Triggiani
«Scarichiamo nell’atmosfera 1.800 tonnellate di CO2 al secondo: è diventata la discarica del mondo. La tutela dell’ambiente oggi ha finalmente rango costituzionale, ma è soprattutto un obbligo della politica avere le idee chiare per preservare l’esistente, connettendo questa esigenza ad una visione di sviluppo socio-economico. Non si tratta di una guerra tra chi vuole gli impianti di rinnovabili e chi vuole tutelare il paesaggio: è una sfida collettiva per il futuro dell’uomo». Le dichiarazioni alla Gazzetta dell’assessore regionale all’Ambiente, Serena Triggiani, non convincono il consigliere regionale delegato all’Urbanistica e al Paesaggio, Stefano Lacatena.
Consigliere, l’assessore Triggiani ha parlato dell’iter sul disegno di legge per la definizione delle aree idonee all’installazione di impianti di energie rinnovabili. Come commenta la sua posizione?
«Sono deluso perché ho letto dichiarazioni molto timide e prive di coraggio da parte di chi dovrebbe dire: “La Puglia deve andare in questa direzione perché noi sappiamo ciò che facciamo”. Navigare nella vaghezza non mette in sicurezza il territorio né dà un contributo all’imperativo categorico che abbiamo da seguire, che è quello di tutelare l’ambiente. Se si vuole preservare una zona della Regione perché di particolare pregio paesaggistico, bisogna farlo a testa bassa, non con i se».
Si riferisce alla zona della Valle d’Itria?
«Sì e, francamente, trovo offensivo che si dica “forse no” perché il ddl sulle aree idonee dovrebbe servire proprio a questo e una politica autorevole non cede al “probabile”, ma prende posizioni nette e chiare e, soprattutto, si assume la responsabilità delle scelte. La Valle d’Itria, nella fattispecie, è un gioiello dal punto di vista paesaggistico che va conservato e tutelato con estremo rigore ed è, quindi, uno dei casi in cui va esibito il cartellino rosso ad ogni ipotesi di impianto».
Tra i fascicoli più caldi oggi c’è quello della decarbonizzazione e della svolta green.
«Non è sufficiente parlare di decarbonizzazione, se dall’Ilva alla centrale Enel di Cerano non ci si occupa di incidere, già da ora, sulla diversificazione degli assetti produttivi. Ed è privo di senso farlo se non si ha la forza di decidere e di raccontare ai cittadini il perché delle scelte. La decarbonizzazione è un dono che facciamo ai nostri figli perché un’arma che utilizziamo contro i cambiamenti climatici, ma impone delle decisioni. Nel perimetro del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale, dobbiamo saper condividere con la nostra comunità un dato di fatto: non possiamo decarbonizzare, quindi salvare la Terra, se non realizziamo impianti di energia rinnovabile. E non li possiamo immaginare sempre “altrove”. I cittadini non hanno l’anello al naso e se noi compiamo scelte fondate, le comunità sono pronte a condividerle. Non dobbiamo abdicare al ruolo della politica, che deve governare i processi ed essere protagonista. Sulle aree idonee, per esempio, gli uffici regionali hanno fatto un lavoro encomiabile, ma noi dobbiamo assumerci la nostra responsabilità senza nasconderci dietro un dito. Mi rendo conto che sia difficile raccontare a un territorio che in un’area si insedieranno degli impianti di energia rinnovabile, ma noi dobbiamo avere il coraggio di farlo. Altrimenti non solo è inutile parlare di svolta green, ma sviliamo anche la nostra vera battaglia: quella contro i cambiamenti climatici. Dobbiamo interpretarla come un impegno cogente, sovraordinato a tutte le altre esigenze in campo. Ci sono priorità da seguire e quella del clima lo è a pieno titolo. La definirei la battaglia del nostro tempo».
Quindi tra le due posizioni che emergono nella Giunta regionale, lei dove si pone?
«Io sono l’ambientalista. Senza se e senza ma. Essere ambientalista, per me, significa dire un secco “no” -e non un “forse”- agli impianti di rinnovabili nelle zone di pregio paesaggistico, ma allo stesso tempo è dire un forte “sì” agli impianti. Perché se continuiamo così, nel 2.100 le temperature si alzeranno di 4-5 gradi e la Terra subirà un processo di desertificazione. Non lo dico io, ma il mondo scientifico. Non è una guerra tra fazioni contrapposte, ma una chiamata all’azione per il futuro di tutti».