sanità
«In Puglia mancano infermieri: interventi chirurgici a rischio»
La denuncia dell’Ordine: in alcune sale operatorie due soli operatori. L’assessore Palese: «Il tetto di spesa storico blocca le assunzioni»
«Lavoriamo male e non in sicurezza. Lo stiamo gridando da anni». E ancora: «Siamo sotto organico e non ce la facciamo più a gestire i reparti».
Lo sfogo di alcuni infermieri baresi è il giusto commento ai dati contenuti nell’ultimo rapporto della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche secondo cui in Puglia, tra le regioni in cui la carenza infermieristica è più pesante, all’appello mancherebbero 6.000 unità. Carenza di personale che si traduce, inevitabilmente, sull’intero settore pubblico che rischia di collassare, mettendo a rischio l’assistenza di migliaia di cittadini. Basti pensare che al Policlinico di Bari, giusto per fare un esempio, le turnazioni di personale nella sale operatorie prevedono spesso la presenza di solo due infermieri per seduta operatoria (anziché tre secondo quelli che sono gli standard previsti dall’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali) e un operatore sociosanitario che, però, spesso è a scavalco su due sale operatorie.
«I dati sono decisamente sconfortanti - commenta Saverio Andreula, presidente dell'Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bari -. La carenza infermieristica in Italia e in particolare in Puglia non è mai stata così grave: senza un deciso e immediato cambio di rotta, infatti, è a rischio la garanzia di sicurezza delle cure. Quello che avviene nel più grande nosocomio pugliese è emblematico: la situazione di carenza di infermieri e operatori sociosanitari, profili indispensabili per erogare prestazioni sanitarie e sociosanitarie, è drammatica rispetto ai posti letto e alle prestazioni mediche e soprattutto chirurgiche erogate all’utenza. Impossibile allo Stato garantire prestazioni sanitarie in sicurezza».
Secondo quanto previsto dall’Agenas, per le sale operatorie «il numero di professionisti dedicati al loro funzionamento risulta indiscutibilmente legato al numero di sedute operatorie e, quindi, di sale operative. Per ogni seduta operatoria (della durata minima di 6 ore) si dovrà prevedere la presenza minima di un medico anestesista, di un medico specialista (chirurgo generale, oculista, ortopedico, ecc), 3 infermieri e 1 operatore sociosanitario».
«A Bari, questo non sempre avviene», replica Andreula. «Spesso, invece, sono presenti solo un infermiere strumentista e un infermiere di sala anziché due. Mi chiedo se il paziente sottoposto ad intervento chirurgico sia consapevole di tale carenza o sia stato informato».
In realtà la carenza di personale infermieristico in Puglia, specie in alcuni reparti, è un problema che si protrae da tempo e la Regione ne è conoscenza.
«La situazione nelle sale operatorie di Bari come in altri reparti è drammatica e senza provvedimenti, sicuramente tampone, che deve assumere il livello nazionale, la situazione è destinata a peggiorare», spiega Rocco Palese, assessore alla Sanità della Regione Puglia, che non nasconde le difficoltà della sanità regionale ma sostiene che debba essere il Governo nazionale a cercare una soluzione. «La carenza di infermieri è generale, forse in Puglia è meno grave di altre regioni del Nord. Certo, gli stipendi bassi non incentivano i giovani a intraprendere questa carriera e d’altra parte molti posti messi a concorso non sono stati utilizzati. Sul finire dello scorso anno come Regione abbiamo assunto 330 infermieri ma non dimentichiamo, poi, - aggiunge l’assessore regionale - che c’è l’impossibilità delle aziende di assumere a causa del raggiungimento dei tetti di spesa per l’assunzione di personale (fermi al 2004) che non sono proporzionati con quanto determinato dalla rete ospedaliera. La Puglia ha un grande programma di assistenza domiciliare ma senza infermieri sarà difficile attuarlo».
Nei giorni scorsi su questa vera e propria emergenza è intervenuta anche l’europarlamentare di Fdi-Ecr, Chiara Gemma: «La penuria di personale crea ancora più problemi sul personale in servizio e infine sull’utente finale, ovvero il paziente. I carichi di lavoro sono pesantissimi per il personale in corsia, che è costretto a lavorare sotto organico e con turni massacranti, senza ferie e permessi. Il sovraccarico di lavoro per gli operatori sanitari, oltre a ledere i diritti degli stessi, mette a rischio la qualità della prestazione sanitaria».
«La Puglia - aggiunge l’europarlamentare - è più in difficoltà di tutte le altre Regioni non perché non ci sono infermieri interessati a colmare i propri vuoti di organici ma perché è in costante condizione di insostenibilità economica del proprio Servizio sanitario regionale. Bisogna intervenire con urgenza all’adozione del nuovo Piano triennale del fabbisogno del personale 2023-2025 con l’integrazione dei posti disponibili. Allo stesso tempo è fondamentale che la Regione Puglia provveda quanto prima a indire dei concorsi».
A livello nazionale, secondo l’ultimo rapporto Sanità di Crea (Centro per la ricerca economica applicata), per sviluppare il territorio secondo il Pnrr servono tra i 40mila e gli 80mila infermieri, ma trovarli al momento attuale appare diffide: l’attrattività della professione è bassa e solo l’1% degli studenti sceglie questo corso di laurea contro una media del 3% negli altri paesi Ue.
«Dobbiamo affrontare un tema ineludibile che riguarda la scarsa attrattività per i giovani della professione dell’infermiere, figura centrale del sistema di assistenza sanitaria del Paese - commenta il presidente dell'Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bari. Saverio Andreula - Purtroppo carichi di lavori insostenibili, stipendi non adeguati alle mansioni e assenza pressoché totale di progressioni di carriere stanno incidendo negativamente sul sistema di assistenza infermieristica». Condizioni queste che hanno causato la fuga di molti infermieri dalle corsie degli ospedali.
«Sono quasi 30mila gli infermieri italiani che sono andati all’estero per le scarse prospettive del nostro Paese (e la formazione di ognuno è costata in media allo Stato secondo la stima delle Regioni circa 30mila euro) - spiega Andreula - e ne continuiamo a perdere circa 3.000-3.500 ogni anno. Tra pochi anni, se questo trend dovesse appesantirsi, lo Stato non sarà più in grado di garantire il diritto alla salute sancito dalla Costituzione».