Il caso

Tangenti Protezione Civile, «le gare truccate di Lerario un danno alle imprese oneste»

Massimiliano Scagliarini

Il processo-bis per tangenti all’ex dirigente arrestato per mazzette. La Regione è parte civile: «Sottratti da 2,2 milioni al sistema»

BARI - La «partecipazione illecita» agli affidamenti di emergenza che Mario Lerario ha consentito all’impresa di Antonio Illuzzi di creare un danno patrimoniale da circa 2,2 milioni, impedendo «che le suddette somme fossero correttamente investite a beneficio di altre imprese». È per questo che la Regione si è costituita parte civile nel processo-bis contro l’ex capo della Protezione civile e dell’Economato, dell’ex funzionario Antonio Mercurio e dell’imprenditore di Giovinazzo, preparandosi a chiedere un risarcimento milionario anche per il «rilevante discredito» provocato dall’eco dell’indagine per corruzione e abuso d’ufficio culminata il 9 febbraio nell’arresto (ai domiciliari) di Illuzzi e Mercurio.

L’udienza preliminare che si è aperta ieri davanti al gup di Bari, Giuseppe Ronzino, è stata immediatamente rinviata al 21 novembre perché la difesa di Illuzzi (avvocato Guglielmo Starace) ha rilevato il mancato deposito dei decreti autorizzativi delle intercettazioni che si trovano materialmente nell’altro fascicolo, quello in cui Lerario (avvocato Michele Laforgia) è stato già condannato per corruzione a 5 anni e 4 mesi (pende appello). Lerario, che in questa vicenda è accusato di aver preso 35mila euro in cambio di appalti, è in custodia cautelare (domiciliari) dall’antivigilia di Natale 2021, quando fu arrestato in flagranza per altre due tangenti.

L’indagine coordinata dal procuratore Roberto Rossi e dall’aggiunto Alessio Coccioli ritiene di aver accertato che gli appalti affidati nel corso di tre anni (2019-2021) a Illuzzi abbiano avuto come contropartita i 35mila euro versati in contanti dall’imprenditore. In questa inchiesta non ci sono (come nell’altra) immagini delle dazioni, ma registrazioni che l’accusa ritiene eloquenti. Lerario era infatti intercettato nell’ambito dell’inchiesta madre sulla Protezione civile (quella sull’ospedale covid in Fiera del Levante, formalmente ancora aperta), e le microspie piazzate dalla Finanza nell’auto del dirigente il 26 agosto 2021 hanno captato una conversazione con Illuzzi: «Dottore questi sono dieci, 25 l’altra volta e dieci, questi, per la pitturazione. Non farti sgamare».

Da qui sono partiti gli accertamenti sulle procedure, che hanno rilevato una serie di irregolarità negli atti amministrativi: mancato rispetto del principio di rotazione degli affidamenti, spacchettamento degli appalti per rimanere sotto la soglia all’epoca vigente, l’applicazione dell’Iva al 22% anziché al 10% (l’aliquota dei lavori pubblici) che ha consentito di liquidare a Illuzzi importi maggiori rispetto a quelli di aggiudicazione. In questo senso la difesa di Mercurio (avvocato Roberto Sisto) ritiene di poter spiegare le irregolarità amministrative contestate, dichiarandosi assolutamente estranea alle dazioni di denaro. Dopo essersi dimesso «per giusta causa» dall’impiego pubblico l’ingegnere barese ha introdotto un procedimento per mobbing nei confronti della Regione, in cui chiede un risarcimento per essere stato demansionato.

Slitta alla prossima udienza, dopo le eventuali altre questioni preliminari sull’utilizzabilità degli ascolti, la scelta del rito da parte degli imputati, rilevante soprattutto per la posizione di Lerario che nel primo processo optò per l’abbreviato. Nell’appello proposto per la prima condanna, l’ex dirigente di Acquaviva ha ribadito la linea in base a cui i soldi che gli sono stati contestati (30mila euro) sarebbero solo «regali» e non sarebbero in alcun modo legati agli appalti. Ma secondo il gup che lo ha condannato, Alfredo Ferraro, esisteva «un patto corruttivo stabile e duraturo, alla stregua di un “sistema”», tra Lerario e gli imprenditori.

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