Estate a mezzogiorno
Gite ai fari di Puglia, brilla la meraviglia
Da Bari al Salento al Gargano: il viaggio lento verso un mondo a parte
Provate per un attimo a chiudere gli occhi e a immaginare la vostra personale idea di faro: c'è chi penserà a una torre sull'oceano, chi a una piccola lanterna su un'isola, chi a un tramonto, un'alba, a un vecchio guardiano dal volto rugoso che ci apre una porta verso il cielo. È tutto vero e tutto falso allo stesso tempo, perché il mondo dei fari è così, un po' immaginifico e un po' reale, un mondo slow in cui tutto è possibile.
Anche la gita al faro è un percorso magico, fantasioso. Nello stesso romanzo di Virginia Woolf, la gita in realtà si evoca continuamente ma non si compie mai, perché è una metafora alla quale la scrittrice ricorre e, rigo per rigo, il faro è ciò a cui si tende, una promessa, un augurio, lontano ma intimo come lo è un orizzonte. Andar per fari è quindi anche un percorso dell'anima e in Puglia sono molti i piccoli-grandi viaggi che si possono ideare, toccando torri nate dopo l'Unità d'Italia, ma su basi preesistenti, molte delle quali antichissime. E non è solo muoversi, arrivare davanti ad un cancello e guardare una torre: il faro è un mondo a parte, in cui si entra e si conosce l'Altro, il silenzio, il vento, la magìa di una luce che si accende.
Non tutti i fari sono accessibili al pubblico, ma da un po' di anni per fortuna le gite al faro stanno diventando sempre più possibili. Gestiti dalla Marina Militare, i fari appartengono al Demanio ed è grazie ad un progetto europeo portato avanti dalla Regione Puglia, dal nome CoHeN e cioè «Coastal Heritage Nations», che proprio a Bari nascerà un importante Museo all'interno del faro di San Cataldo, bianco candido, storica torre capace di mostrare dall'alto tutta un'altra città. Qui furono provate dallo scienziato Marconi le prime onde radio tra Bari e Bar e soprattutto qui sono nate epocali storie d'amore di cui si ha traccia storica, ma pure girati film come Mio cognato di Alessandro Piva. Questo faro, grazie ai lavori di ristrutturazione portati avanti dal Comune di Bari, sarà una casa aperta al pubblico in cui si narreranno storia e storie di fari, un luogo unico.
E ancora, il percorso può continuare nel Salento. Ci affacciamo sul punto in cui Adriatico e Ionio mischiano le proprie acque, il punto simbolico dove il Tacco della Puglia finisce e ci collega idealmente verso l'Oriente. Convenzionalmente, l'incrocio dei mari si indica all'altezza del 40° parallelo ma a noi non interessa scavare tra i profumi «diversi» delle acque dei mari, quanto invece giungere a quel Finis Terrae che è la fine ma anche l'inizio di tutto, l'ultima briciola di territorio che chiude la penisola salentina e dove il mare è davvero il padrone assoluto, infinito, aperto verso i monti dell'Albania e verso Corfù (entrambi visibili nelle giornate senza foschia). Leuca è la frontiera, ma attenzione, non un confine bensì un ponte, una striscia di terra che cattura un po' d'Oriente. Pensate, siamo qui, sul promontorio di Melisa, forse l'antico Promontorium Iapigium ed è il luogo in cui – come ci testimonia Plinio – gli antichi sognavano di creare davvero un ponte per unirci all'Oriente. Anche qui un faro meraviglioso, altissimo, che tutta la città ama profondamente e in cui ogni anno da quando ha compiuto 150 anni la comunità festeggia il compleanno. Lo si farà anche quest'anno, il 6 settembre, con una grande festa, con i consueti fuochi d'artificio, con tutti i particolari messi a punto dalla Pro Loco (presidente Corina), dalla Marina Militare e dallo stesso Comune che, insieme al farista Maggio, porta alto il nome di questa incantevole lanterna.
Sempre Salento, c'è una zona slow, in cui silenzio e lentezza dominano. Eccoci nella bellezza immobile di Gallipoli, e solchiamo il mare azzurro verso quell'isola di San'Andrea che da lontano appare come un eremo. Neanche il vento, che quando soffia forte è un ciclone, riesce a smuovere la pacifica esistenza del faro, della sua casa, del suo passato, di tutto ciò che esiste e che oggi è svuotato di vita. Sono passati oltre centocinquant’anni dal giorno in cui si pose la prima pietra tra questi scogli: un anniversario che Gallipoli non dovrebbe dimenticare perché è il segno delle varie età attraversate da un luogo deserto come è questo. L'isola appare come un alter ego del centro storico, un piccolo prolungamento della «città bella» nel suo mare. Ebbene, su questa isola, nel 1865, subito dopo l’Unità d’Italia, arrivò il progetto dell’ingegnere napoletano De Fazio, incaricato da dare luce alle coste del Sud, costruendo i fari di Nisida, Gallipoli e Pozzuoli. Anche l’ingegnere fu colpito dal paesaggio di Sant’Andrea, lo ritenne così solenne che pensò di ispirarsi, per la costruzione del faro, ad una sorta di Colonna d’Ercole, una «colonna dorica abitata» che poi è diventata il faro, la casa dei faristi, il rifugio dei soldati durante le due guerre mondiali, l’alloggio dei finanzieri che dovevano fare la guardia al sale quando qui proliferavano le «saline d’acqua» e il sale era prezioso. Vicende lontane. Alle quali non si pensa camminando sull’isola selvaggia e solitaria.
Ed è così in ogni gita al faro, in ogni parte del mondo. Né terra né acqua: i fari sono luoghi di confine, cattedrali del silenzio.
Molti fari italiani sono poco conosciuti, molto meno «sfruttati» dal punto di vista iconografico dei tanti fari atlantici. Oggi c'è finalmente un grande interesse ai fari e negli ultimi mesi sono usciti nuovi libri sul tema. Un piacere per chi da decenni si occupa del tema, quando ancora l'idea di parlare a lungo di un faro sembrava una follia, una chimera. Eppure due delle sette meraviglie del mondo antico sono fari: la torre di Alessandria d'Egitto, rimasta in funzione per sedici secoli, e il Colosso di Rodi, che ebbe anche il compito di guidare le antiche navigazioni. Entrambi non esistono più: il primo crollò in mare e soltanto dagli anni Novanta ne sono stati recuperati alcuni preziosi blocchi; il secondo fu fuso e con il suo bronzo ci fu la vendita ad un ebreo di Emesa. Il resto del mondo invidia la particolare architettura dei nostri fari italiani e oggi che la riscoperta va avanti, speriamo nella loro tutela. Che parte sempre dalla conoscenza. E dall'idea di pace che solo un faro può esprimere: pensate, il faro è «Luce» senza confini e senza barriere, perché il linguaggio dei fari è internazionale e un qualunque marinaio, che venga dalla Corea o dalla Sicilia, può capire il linguaggio muto di luci ed eclissi che «parla» il faro. Ogni lanterna funziona allo stesso modo, senza distinzioni di Stati, idiomi, religioni. Evviva, non ci sono muri in mare.