OPPIDO LUCANO - Rocco Michele è tornato a casa. A 77 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. La fine di un incubo, che però, il caporal maggiore De Rosa non vide mai. Dopo essere stato fatto prigioniero dai tedeschi nel campo d’internamento nazista Stalag IV B Zeithain, morì infatti il 4 aprile del 1945 a 25 anni a Grosseveismansdorf (Germania).
Solo nel 2011 una nipote è finalmente riuscita a capire dove riposavano le sue spoglie. E giovedì 10 novembre Rocco Michele De Rosa ha visto esaudito il desiderio di tornare nella sua Oppido Lucano, dove è stato tumulato nella tomba di famiglia con tutti gli onori militari. Dopo la cerimonia civile nei pressi del Monumento ai Caduti, in via Bari, il caporal maggiore è stato ricordato nel rito religioso al convento Sant’Antonio.
«Tutto è nato da un foglietto di carta – racconta Andrea La Fauce, pronipote di De Rosa – incollato dietro una foto regalata a mia madre da una cugina. Su questo frammento era indicato il presunto luogo di sepoltura di zio Rocco, deportato in un campo di internamento nazista e costretto ai lavori forzati subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943». A due anni dalla scoperta Caterina, la madre di Andrea, è andata al cimitero militare di Francoforte sul Meno a deporre fiori sulla tomba di Rocco Michele. «Non sai che emozione mettere un fiore per la prima volta su una tomba che non li ha mai visti dei fiori» il messaggio inviato ad Andrea, che nei giorni scorsi ha raccontato la storia su Facebook. Da lì è partito l’iter che ha visto i nipoti del caporal maggiore impegnarsi per portare le spoglie mortali di Rocco in Basilicata.
Nato a Oppido Lucano il 9 ottobre 1919, quinto di sette figli, De Rosa era stato chiamato alle armi il 10 marzo del 1940 e poi mobilitato nel 157° Reggimento Artiglieria di Fossano “Novara”. Dopo l’armistizio, centinaia di migliaia di soldati italiani sono stati catturati e posti davanti alla scelta di continuare a combattere nell’esercito tedesco o essere inviati in campi di detenzione in Germania, come prigionieri di guerra. Decine di migliaia di internati militari italiani hanno perso la vita in quell’inferno, spesso per denutrizione o per esecuzioni capitali.
Dalle cartoline e dalle lettere di Rocco Michele traspare tutta la sofferenza di quei giorni e la sua forte volontà di rimanere in vita per poter riabbracciare i suoi cari. Quando la nipote è riuscita a deporre un fiore sulla tomba dello zio, il dolore e la gioia si sono mescolati a un altro sentimento: «Ho salutato con orgoglio le altre migliaia di italiani che hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà. Ricordare il loro sacrificio di soldati impone la responsabilità di una politica che consideri la pace come un valore supremo» si legge nel testo che racconta tutta la vicenda. Un pensiero quanto mai attuale. Come l’amore per uno zio, anche se mai abbracciato.