Il fatto
Potenza, dipendente delle Poste truffava i pensionati
L’uomo si sarebbe appropriato di decine di migliaia di euro approfittando di problemi di demenza, età, e della buona fede dei clienti
Potenza - Un vaglia di 45mila euro di «regalo da nonno Mario». Un bel gesto se non fosse che a disporre il trasferimento di fondi con quella causale a una donna non era stato il signor Mario, che nemmeno gli era nonno, ma il marito della stessa destinataria che, lavorando all’ufficio postale dove il malcapitato aveva i suoi soldi aveva messo in atto un raggiro. È solo uno degli episodi contestati al 31enne potentino Sandor Grosso (difeso dall’avv. Giuseppe Bardi) nell’ambito del processo partito al Tribunale di Potenza. Una vicenda, per come emerge dalle indagini che hanno portato Grosso ai domiciliari dallo scorso giugno che vede vittime deboli, per età, patologie o poca conoscenza delle tecnologie che si sono viste sottrarre i propri risparmi. Decine di migliaia di euro ognuno, somme che diventano a 6 cifre nel totale.
E partiamo da questo dato. Le speranze di riavere i soldi potrebbero andare oltre quanto Grosso potrebbe dare. Gli avvocati Raffaele Roccanova e Alessio Carlucci, per le parti civili, hanno chiesto la citazione come responsabile civile di Poste Italiane, società in nome della quale Grosso agiva e il collegio presieduto da Rosario Baglioni si è riservato di decidere.
Ma al di là dei pur importanti aspetti economici, il processo valuterà accuse di condotte particolarmente che vanno dalla circonvenzione di incapace alla truffa, all’indebito utilizzo di carte di credito e di pagamento e alla ricettazione, descritte nelle indagini condotte dalla Procura ed eseguite dalla Guardia di Finanza con modalità particolarmente odiose.
Basti considerare un caso. Una donna, a cui l’uomo ha sottratto la bellezza di oltre 97mila euro (e aveva provato a effettuar un vaglia di altri 80mila alla collaboratrice domestica, poi bloccato) era affetta da demenza degenerativa e lui si era porto come un aiuto per la gestione economica. Così, spacciandosi per nipote, l’aveva anche accompagnata presso la Carime di Potenza, dove aveva altri soldi oltre quelli depositati alle Poste, per spostare tutto sul deposito all’Agenzia Postale di Trivigno dove lavorava. Il gruzzolo, così, era più facile operare. Perché l’anziana, già in difficoltà nella vita di tutti i giorni, era del tutto incapace di usare le credenziali di banking online e anche di effettuare i prelievi allo sportello automatico e così aveva consegnato tutto al suo impiegato «di fiducia». Ma questo nel tempo, con operazioni che sono andate dai mille ai 56 mila euro, con vaglia sul suo conto o prelievi in contante, si è appropriato della somma detta prima. E non basta. Perché ha utilizzato anche la carta bancomat come se fosse sua: prelievi a Potenza, Napoli e Scalea, appropriandosi del contante.
Nella maggior parte un «firmi qui» risolveva tutto. I malcapitati firmavano carte che non comprendevano e il gioco era fatto. I soldi venivano trasferiti, il frutto degli investimenti veniva decurtato, i prelievi venivano giustificati.
Già, le firme senza capire. Come quella volta che si presentò un cliente che, dopo aver perso i genitori, doveva mettere a posto le questioni economiche: il solerte impiegato lo convinse a disinvestire tutte le polizze in essere, e versare tutto sul conto personale del cliente stesso. Peccato che tra le carte da firmare Gruosso abbia inserito anche un vaglia in bianco, che sarebbe stato poi compilato con i dati del «regalo di nonno Mario» detto prima. Sul conto, dei 49mila e 800 euro iniziali, erano rimasti così 4.800 euro. Ma gli appetiti dell’impiegato, per l’accusa, non era finiti. E un prelievo in contanti avrebbe azzerato la somma.