strage a nizza

La Francia bersaglio «numero 1»

BRUXELLES, 15 LUG - Ancora una volta, la terza in 18 mesi, da Charlie Hebdo al lungomare di Nizza, passando per le stragi del 13 novembre al Bataclan e nei ristoranti di Parigi. E' sempre la Francia il bersaglio numero uno del terrorismo jihadista. Che il 22 marzo ha colpito nella francofona Bruxelles quando i piani della cellula franco-belga di colpire durante gli europei di calcio sono saltati per l’arresto di Salah Abdeslam. Il mondo torna a esprimere il cordoglio, ma anche a porsi la domanda: perché ancora la Francia?

Le ragioni vanno cercate a partire dalla storia coloniale francese, nella mal riuscita integrazione dopo l’indipendenza dell’Algeria e la fine delle colonie francofone nel Maghreb, nella ghettizzazione delle banlieue, nei suoi valori laici che identificano l’intero mondo occidente. Ma anche nella porosità delle sue frontiere, nelle riconosciute mancanze dell’intelligence e degli apparati di sicurezza, così come nell’impegno militare, nella postura di dichiarata «guerra al terrorismo» e, non ultimo, nella percezione di vulnerabilità.

Tra i Paesi dell’Europa occidentale, la Francia è quello a più alta percentuale di immigrazione non riuscita. Già negli anni '90 subì due ondate di attacchi legati a gruppi estremisti algerini. Ma il detonatore della nuova ondata di terrore guidata dall’Isis sembra trovare le radici nell’intervento in Libia, voluto da Nicolas Sarkozy, e nella retorica scelta dal governo. Il primo a schierarsi al fianco degli Stati Uniti nella coalizione.

Nelle banlieue, tra i giovani tra 18 e 36 anni, sottoistruiti, con lavori saltuari e in genere con un passato di piccola criminalità, il jihadismo riesce a reclutare con facilità, facendo leva sul risentimento verso un Paese la cui potenza militare, ad esempio, ha stroncato l’offensiva islamica in Mali e in Centrafrica. Infatti sono almeno 600 i cittadini francesi partiti per la Siria come 'foreign fighter'.

La Francia è anche l’obiettivo più rappresentativo dell’intero Occidente, con i suoi valori di laicità, libertà, uguaglianza e non discriminazione della donna. Già a settembre del 2014, all’inizio delle operazioni in Siria, il portavoce dell’Isis Mohammad al-Adnani aveva invocato attacchi contro «l'odiosa Francia». Al tempo stesso, è anche il più facile da colpire. L’inchiesta parlamentare sugli attacchi del 13 novembre ha riconosciuto il «fallimento globale» dell’intelligence francese, ha fatto emergere che per le regole d’ingaggio i militari in servizio al Bataclan non potevano usare le armi. E la percezione della vulnerabilità, assieme alla retorica della «guerra al terrorismo» incoraggia chi è disposto a farsi reclutare, in un Paese che «è sull'orlo della guerra civile tra estremisti di destra e estremisti islamisti», come ha dichiarato il 24 maggio in Parlamento Patrick Calvar, direttore della Dgsi, i servizi di intelligence interna. Lo stesso che martedì scorso si diceva «persuaso» che i terroristi «presto passeranno allo stadio delle autobomba». (di Marco Galdi, ANSA) 

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