l'Intervista

Il lucano Massimo Osanna nuovo direttore generale italiano: «Così toglierò la polvere nei musei»

Lorenza Colicigno

Venosino di nascita ha diretto la scuola di Beni Archeologici Unibas di Matera e fatto importanti scoperte alla Torre di Satriano

Basilicata - Massimo Osanna, di Venosa, a 57 anni è il nuovo Direttore generale dei Musei del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Quando nel gennaio 2014 l’allora ministro Massimo Bray gli offrì la guida della Soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabia, Osanna era Direttore della Scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università della Basilicata, con sede a Matera, dove ha insegnato. Professore ordinario di Archeologia classica all’Università di Napoli Federico II, è stato visiting professor in numerosi atenei europei. La sua attività di promozione di scavi archeologici ha interessato l’Italia meridionale ,la Grecia e la Francia. Dal 2014 al 2015 ha diretto la Soprintendenza Speciale di Pompei, del cui Parco archeologico è stato nominato Direttore generale nel 2016, riconfermato nel 2019,ora ne mantiene l’interim fino alla nomina del nuovo Direttore di quell’area archeologica alla quale ha cambiato completamente volto, grazie alla sistemazione di parti fino ad allora fatiscenti o del tutto ignote.

Suo merito aver riportato alla luce iscrizioni, come quelle della Casa di Orione, della Casa del Giardino, del mausoleo di Gnaeus Alleius Nigidius Maius, o quella di Nigidius Maius, che offrono di Pompei, non più solo la visione di una città distrutta dall’eruzione del Vesuvio, ma di una città capace ancora di stupire per la sua vivacità di punta avanzata nei commerci e nella cultura. Del resto è quanto era avvenuto durante gli scavi alla Torre di Satriano di Tito, portati aventi con gli studenti della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università della Basilicata, con sede a Matera, dove grazie alla sua esperienza di archeologo, assistita da un po’ di fortuna, come lo stesso Osanna ammette, è venuta alla luce una dimora principesca, anche in questo caso rimasta intatta a causa di un evento improvviso e devastante che l’ha sepolta lasciandola intatta nel tempo fino a noi, un luogo che fa luce su un periodo ancora poco conosciuto della storia del territorio lucano, mettendone in evidenza la vicinanza ai raffinati modelli greci e la relazione con i più vivaci centri di cultura e di produzione artigianale e artistica del tempo.

Abbiamo, dunque, iniziato questo dialogo con Osanna, avendo tra le mani il grande volume dedicato alla Torre di Satriano, pubblicato a sua cura con altri eminenti studiosi, nei Quaderni archeologici della Deputazione di Storia Patria per a Lucania, volume in cui si manifestano l’accuratezza delle ricerche e della catalogazione dei reperti e al tempo stesso la visione d’insieme che colloca la dimora principesca nell’ampio quadro culturale del IV-III secolo a.C. in cui essa si colloca. Ciò che caratterizza Osanna è la sua dote di affiancare all’intuito e alla competenza dell’archeologo l’abilità del comunicatore che sa spiegare al visitatore potenziale o in presenza il valore che ha nel presente e per il futuro il recupero sempre più attento del passato.

È stata certo anche la sua capacità di dare un volto nuovo a Pompei che ha indotto il Ministro Dario Franceschini ad affidargli la cura dei Musei italiani, nella prospettiva del futuro.

Come ricorda il periodo del suo insegnamento a Matera e in particolare delle scoperte cui abbiamo fatto cenno?
È un periodo che porto nel cuore, che non potrei mai dimenticare, così come l’entusiasmo degli studenti nel capire l’importanza del ritrovamento effettuato. Non dimentichiamo che le scoperte fatte alla Torre di Satriano hanno portato quel luogo e la Basilicata, la sua storia, all’attenzione dell’archeologia e del mondo culturale più in generale a livello internazionale.

Quale la sua strategia per il futuro dei musei italiani?
Oggi non vorrei ancora parlare di strategia in senso operativo, perché nel mio modo di vedere e di agire viene prima di tutto la conoscenza capillare dei luoghi. Ho messo subito in campo dunque una visita a tutti i musei italiani…

Sarà dunque presto anche in Basilicata…
I musei lucani sono quelli che conosco meglio, quindi inizierò da quelli che non ho mai avuto occasione di visitare, ma certo con grande piacere tornerò nei musei lucani al più presto.

Qual è uno dei nodi che vorrà affrontare?
Va messa in campo una strategia che cambi la situazione, a cominciare dalla dicotomia Soprintendenze e Poli museali. Bisogna muoversi sul piano di strategie comuni, fortemente collaborative, è questo uno dei punti di partenza, un secondo punto essenziale è la costruzione o ricostruzione di un contatto diretto con il territorio, mi riferisco all’idea di musei aperti e condivisi, fatti percepire come patrimonio comune.

In quest’ottica su quali aspetti porterà la sua attenzione, prioritariamente?
Gran parte del nostro patrimonio museale giace nei depositi, potrei dire che il mio intento generale è quello di far conoscere questa parte nascosta, via la polvere dai musei, potrei dirla così, e per ottenere questo risultato è necessaria una manutenzione programmata, così ho agito a Pompei e questo ha dato i suoi frutti. Programmare è una parola chiave, così come trasformare nel senso, come dicevo prima, di rendere i musei il più possibile aperti e condivisi. A questo intento deve tendere anche un’accorta politica di digitalizzazione, che consenta a parole come archivi e depositi di cambiare del tutto di senso, cioè di essere scoperti nella loro ricchezza, forse impensabile per i non addetti ai lavori, possiamo dire se che parte del patrimonio archeologico italiano è certamente ancora da scavare, la gran parte è solo da rendere accessibile ai più e in questo la digitalizzazione e la fruizione online è fondamentale, in particolare in questo periodo in cui i luoghi sono inaccessibili per motivi legati al distanziamento reso necessario dalla pandemia da covid- 19.

Come ha interferito questa situazione con il suo lavoro Pompei?
La mancanza del pubblico ha reso possibile intensificare l’attività di manutenzione ordinaria, sempre indispensabile, e di digitalizzazione.

Cosa porterà del modello Pompei nel suo nuovo ruolo?
La convinzione che ci siano dei punti fermi, che per altro ho già citato, da cui partire: programmazione e apertura al territorio.
Cosa pensa dell’accostamento ai musei materiali dei musei immateriali o virtuali?
Bisogna uscire dalla visione del museo come puro contenitore e come semplice materialità, sono concetti superati dalla possibilità offerta appunto dal digitale di diffonderne la conoscenza. Più i musei sono luoghi aperti alla conoscenza più essi svolgono la loro funzione culturale e di arricchimento del territorio. Del resto i concetti che meglio mi caratterizzano sono dibattito e innovazione, ed è chiaro che essi non possono che avvalersi di un più diffuso affiancamento della dimensione immateriale alla cura dei musei materiali.

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