Lessico meridionale

Se un Cretese oggi sbarcasse in Puglia

Michele Mirabella

Tra ristoranti e locali affollati, ruderi abbandonati e coste deturpate: come cambia il nostro meraviglioso paesaggio

A guardarla sulla carta geografica la Puglia ha una forma strana: un tacco lungo di uno stivale sbilenco con uno sperone greve e proteso nell’acqua di carta nelle varianti del colore azzurro. Una terra che ha nella forma il suo destino: si protende nel mare con una decisione ed una forza che sembrano suggerire una temeraria e implicita vocazione a spingersi oltre. Verso terra il suo confine non si chiude, ma è avido di terre vicine, della Basilicata sorella e del Molise cui contende immaginarie dogane e varchi amichevoli dopo le foci del Fortore. E ancora così, l’Italia: una linea di coste basse ad ammiccare ed alte a sporgersi sul mare, dal mare. Ai tempi dello stordito Enea reduce dal rogo di Troia, è destino che i Dardanidi tornino nella terra degli avi girovaghi e curiosi mercanti.

Certo Enea è guidato dal fato, dalle profezie degli dei. Ma le fraintende e sbaglia l’approdo. Apollo gli aveva ingiunto di «cercare l’antica madre», Antiquamexquiritematrem, come ricorda Virgilio nel Canto III dell’Eneide e lui mica aveva capito ch’era l’Italia. E s’era fermato a Creta. È un eroe strano, confuso, riluttante, perplesso. Tentato dalle donne. Didone è a un passo dal fargli perdere la rotta giusta, la strada, la direzione assegnata. Dopo l’ancestrale sbarco, aspettando il litigio fatale sul solco fondativo di Roma, antichi vagabondi e curiosi giramondo, i Greci del continente e delle isole, di Argo, Micene, Creta, Tebe, Corinto, di Samo e Tessalonica, di Atene e Sparta, ma anche di Santorini e Mikonos raggiunsero le coste di Puglia e, con la foga del colonizzatore, ma, anche, spesso, con la bramosia del naufrago, hanno deposto le armi e dato di piglio all’aratro e alla rete unendosi ai sagaci e forti indigeni per dar vita alla civiltà che fece verdeggiare l’ulivo, la spiga e l’uva e fruttificare il mare pescoso di Orazio.

Scrutiniamo: dal confine subito a nord-est dei laghi garganici di Lesina e Varano fino a quello fatidico di Metaponto, scorrendo lungo le innumerevoli marine culminanti con il capo di Leuca, lo sguardo accarezza la mappa e rinnova il ricordo di ottocento chilometri di costa bellissima, sempre diversa e sempre suggestiva: la chiave d’accesso alla terra che racchiude come una riviera deve fare.

Per i naviganti dell’Oriente greco e, poi, per tutti quelli che si sono avvicendati a venire da noi, si spalancava uno scenario immenso di approdi: pretesti, richiami e scenari mirabilmente pronti a ripristinare gli orizzonti perduti delle patrie rissose o nemiche. Si racconta che, spesso, i girovaghi di quel pelago interno che è il Mediterraneo, bighellonando tra bufere reali e mitiche sirene, razzie furenti ed improvvise e approdi fiabeschi, incontri divini e navigazioni burrascose, prima di trovare finalmente Itache nuove o città da fondare, scrutassero le coste per ravvisare, nella speranza degli sguardi rapaci, una qualche somiglianza con la terra nativa, un rinvio possibile della memoria per trasformare l’avventura in nostos e per sedare l’algos della lontananza. Ecco le nuove Argo, Micene, Creta, Tebe, Corinto e Samo e Tessalonica, e Atene e Sparta rimembrate nelle coste ospitali dello sperone sghembo e ardito. Coste aperte al mare rude e cantatore che era l’Adriatico antico, coste che, se non offrivano sempre approdi facili e scontati, pure non lesinavano accoglienza. Cosa troverebbero le vele greche se arrivassero, oggi, in Puglia? Proviamo a riguardare la mappa e a studiare uno sbarco.

La pattuglia di coraggiosi cadetti Ateniesi che si spingesse a Margherita di Savoia e zone limitrofe la troverebbe inchiodata di cancellate a difesa delle proprietà usurpate, i Corinzi che corressero la costa tra Mola di Bari e Punta Penne farebbero fatica a sbarcare tra le auto sulle dune, le prenderebbero per Lestrigoni affamati e scapperebbero. Quanto alla zona di Metaponto, nessun naufrago avrebbe risorse per l’accoglienza di certi ostelli e locande. Il Cretese che, come pare, sia venuto millenni fa, se oggi cercasse le foci del torrente, simile a quello di casa sua, tra Santo Spirito e Palese troverebbe difficoltà ad approdare tra gli stabulari di cozze, ruderi di ristoranti a mare falliti, e caseggiati a dieci metri dal pelo dell’acqua. Del torrente neanche l’ombra, neanche il letto residuale: morto e sepolto nel cemento.

Risalendone il corso, si dice che un mitico re Botone o Bitos abbia fondato Bitonto avendo trovato una bella somiglianza paesaggistica con la terra d’origine. Oggi i Bitontini fanno il percorso a ritroso per cercare con fatica uno spiraglio di spiaggia libera. E così, con fatica, pare che tutti i pugliesi riescano a fare il bagno di mare. Solo il bagno di mare, niente avventure e o colonizzazioni. Ma sembra essere molto più difficile, pericoloso e per niente affascinante.

Armiamoci di pazienza, tenacia, piedi di porco, rispetto della legge e riapriamo le coste, ripuliamo i meravigliosi litorali, buttiamo giù il cemento assassino. Non bastasse il nostro interesse, lo vuole la storia e lo chiede il mito.

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