Lessico meridionale
Scandali dell’antichità e... odiose baruffe attuali
Nell’antichità era proverbiale la litigiosità degli Ateniesi. Litigavano per qualsiasi cosa e lo stesso Demostene si fece le ossa litigando con i suoi parenti perché teneva famiglia, ma non nel senso moderno, teneva famiglia nel senso di una famiglia di carogne
Nell’antichità era proverbiale la litigiosità degli Ateniesi. Litigavano per qualsiasi cosa e lo stesso Demostene si fece le ossa litigando con i suoi parenti perché teneva famiglia, ma non nel senso moderno, teneva famiglia nel senso di una famiglia di carogne. In Grecia, nell’età di Prassitele, non era indispensabile essere avvocati per affrontare l’agorà. È il caso dello scultore che difese Frine in tribunale dall’accusa di condotta oscena. Frine era un’etera famosa per la straordinaria bellezza, tanto che, in via eccezionale, un giorno entrò in mare coperta solo dai lunghi capelli davanti agli occhi sgranati da una grande folla che, ella, non voleva privare di tanta grazia degli dèi.
Il popolo considerò la prestazione balneare l’omaggio artistico e come il sereno cenno di saluto della bellezza ai cittadini intelligenti. L’esibizione le causò un’accusa di oscenità. Il suo fidanzato, lo scultore Prassitele, che l’aveva presa come modella per la sua meravigliosa Afrodite di Cnido, decise di difenderla in tribunale e vinse la causa.
Ma gli Ateniesi non aspettarono il successo, oggi diremmo mediatico, di Prassitele, per coltivare con assiduità e passione l’arte oratoria. Andare a un processo era come andare a uno spettacolo, seguirne le vicende era una specie di telenovela, come oggi. Niente di nuovo neanche nel fatto che per gli Ateniesi era un vero e proprio solluchero una causa che implicasse donne per questioni di amore e non solo della politica o dei problemi sociali della libera comunità, per non parlare delle liti di interesse collegate. E, del resto, che una storia d’amore si concludesse in tribunale era cosa tutt’altro che rara. Per gelosia, per soldi, per corna e tradimenti e per tutte le altre innumerevoli ragioni per cui un amore può finire. Nell’antichità, quando una donna veniva trascinata in tribunale, l’interesse si raddoppiava, la sordida curiosità si accendeva e s’avventava sulle malcapitate per scrutarne l’umiliazione e gongolare per quegli occhi bassi e per quegli sguardi fuggitivi.
Oggi è tutto diverso: gli sguardi sono molto alti, gli occhi spalancati, l’abito ridotto o a un sontuoso cattivo gusto come, del resto, il maquillage che enfatizza chiome bionde e sguardi rapaci. Le telecamere esterne riprendono, ma non riescono ad accecare quelle microscopiche nascoste, dalla signora, negli occhiali da sole (sòle, con la ò aperta, a Roma sta per truffa). Il foro è quello immane dei media. Certe signore considerano l’aver a che fare con la giustizia un gradino lieve di una scala lievissima e leggiadra per avere successo, denaro e fortuna. Con chi comanda, chi ha il potere. Teorizzano, nelle interviste che rilasciano compiaciute, la via facile del mostrarsi ed esporsi con i potenti arraffati nelle loro peregrinazioni favorite dal ruolo e dalla funzione. Non senza, lasciar credere a curricula di diplomi e lauree. Il palcoscenico è lo sterminato catalogo dei mass-media, una agorà pulviscolare che si impone con la ritualità ossessiva che fa comodo alla protagonista di turno per darsi e vendersi al maggior offerente, non al migliore, per condurre una vita avventurosa, nei lussuosi meandri del potere, comoda, priva di stenti, difficoltà e, soprattutto, scrupoli.
La nostra «città», che non è Atene, ma ha, pur sempre, la sua Ragione e le sue ragioni e la sua dignità, ospita alcune di queste signore. La legge le sfiora, ma loro sembrano indifferenti ai suoi rigori. Quello che conta è che, essendo titolari di un bel corpo e di una sagace astuzia, per arricchirsi investono le loro grazie nella seduzione dei potenti nei meandri della politica che, anche nelle democrazie, talora, purtroppo, continua ad essere un mercato senza curarsi dei rischi della giustizia. Grazie e giustizia, guarda caso.
Naturalmente i signori maschi praticano la versione virile della prestazione di favori, attentano con veemenza alla dignità della Repubblica e alla salute della democrazia, con il dispensare incarichi, le amicizie interessate, il familismo amorale che istiga alla corruzione. E praticano la versione virile della invadenza del favoritismo. Fare carriera in politica è, talora, la conseguenza di una mancanza di etica totale e l’ignoranza della storia delle libertà democratiche.
Prassitele difese Frine in processo e il mito canta che usò, come fosse un’arringa, uno spogliarello: al momento culminante del finale travolgente, le denudò il seno per mostrane l’abbagliante bellezza che giustificava l’esibizione balneare. Solo pochi sceltissimi amici avevano potuto ammirare quelle forme perfette, ma, mai, un pubblico così vasto e popolare. Oggi nessun avvocato ricorrerebbe a questo coup de théatre: Frine fu molto amata per la sua morale impeccabile e l’indole generosa: quando Alessandro Magno distrusse Tebe, lei promise che avrebbe fatto ricostruire la città a sue spese, in cambio soltanto di un’iscrizione di gratitudine dei Tebani. Le etere cittadine edificavano città, certe signore e certi signori le radono al suolo.