Lessico meridionale
Quel mare e l’ignoto oltre l’ultima spiaggia
La situazione generale del nostro Paese e di tutto il pianeta non consente di rinviare più le decisioni importanti
Ignoro, e il caldo non agevola meticolose ricerche filologiche, la spiegazione di quel modo di dire “ultima spiaggia”, riferito ad una condizione estrema, oltre la quale non si aprono vie di riscossa o fuga e non ci sarebbe salvezza. Si dice comunemente che qualcosa o qualcuno è arrivato all’ultima spiaggia in vicende in cui la sorte dell’impresa dipende dall’ultimo tentativo, dall’estremo sforzo. Oltre vi è, evidentemente, il mare e l’ignoto. O il fallimento. Fascino del destino delle parole: possono servire nell’ampollosa poesia, nell’epica solenne, ma, anche, onestamente, prodigarsi per un sermo humilis , un procedere idiomatico semplice e corrivo. Utile, naturalmente. Ulisse, a seguirlo nell’Odissea, con appassionante acribia, insiste, testardo, nel proclamare che è Itaca che lo aspetta, l’ultima spiaggia. Itaca con Penelope, padre vetusto, vetustissimo cane e svagato figliuolo, nonché una pletora di scansafatiche pronti a impalmare la vedova di fatto, ma soprattutto, impossessarsi del patrimonio di famiglia, serve comprese. Dante la pensa diversamente. l’ultima spiaggia sarà tale per la fine della vita del nocchiero.
La mia ultima spiaggia non ha pretese allegoriche o metaforiche di escatologie sgomente: quella che ricordo, per esempio, stava e sta a Santo Spirito, dove, da ragazzo, invariabilmente passavo i mesi estivi, l’ultima spiaggia, per universale convinzione, era solo un lido balneare che chiudeva le pertinenze della frazione e anche il lungomare: una specie di confine. Oltre erano campi e scogli non abilitati, chi sa mai perché, al rango di spiagge, ma utilissimi per furtivi incontri di coppie di innamorati che si appartavano. In quei colloqui corredati dai canti di grilli e cicale, dipendeva dall’ora, o assecondati dal brillio delle stelle, molte virtù femminili arrivavano all’”ultima spiaggia” che molti vigori maschili affrontavano con gagliarda insolenza.
Leggo di polemiche sulle spiagge fatte oggetto di speculazioni e oltraggi e regolamenti pubblici complicatissimi. Quelle rissose questioni attivate dall’industria delle vacanze e questi dalla offesa ostinata a crudele al paesaggio. Il tenutario dello stabilimento balneare recinge, chiude, sbarra e pretende. In cambio della sicurezza, dei servizi, della pulizia, così afferma, chiede denaro. L’ostinato libero pensatore e liberissimo consumatore può sempre scegliere la “spiaggia” libera, così detta perché non oberata da balzelli. A suo rischio e pericolo. Il tenutario lo sa bene: questa, infatti è oberata d’altro e, cioè, dai residui, dalle scorie, dalla immondizia dei liberi pensatori e liberissimi consumatori della sera prima che, spesso, pensano bene di memorizzare la propria presenza sulla spiaggia per la cocomerata con i residui della medesima, con le bottiglie della birra e con le cartacce della “pizza a cofano”. Moderni Lestrigoni dell’Odissea. La “pizza a cofano” è l’ultima spiaggia della serata, pizza economica, acquistata al negozio e consumata sul cofano dell’auto a rischio continuo di rovinosa caduta della mozzarella filante sul selciato per via dell’insidiosa inclinazione della carrozzeria. Devo ammettere di aver goduto anche io della “pizza a cofano” in tempi, ahimè troppo lontani, utilizzando auto di estranei, data la penuria di motorizzazioni della comitiva.
La retrouvaille m’è sfuggita dalla penna, si è fatta largo nelle righe e si è imposta con la sua patetica e minuscola poesia. Oggi posso permettermi di mangiare la pizza accomodato al tavolo e comodamente posso consumare uno dei riti più semplici e affascinanti della rude e schietta gioia delle vacanze. Il rumore della risacca e la brezza leggera mi faranno compagnia. Ma qualcosa mi rode. L’assillo che mi rovinerà il piacere della fetta di anguria come dessert è che se continuano a cementificare, recingere, sporcare il mare e ad angariarlo con l’incessante spoliazione della pesca selvaggia, con l’ottuso ed egoista scacciarlo dalle nostre rive con trucchi edilizi di scogliere artificiali, lasceremo alle nuove generazioni un deserto di immondizia e di villette a schiera, di cemento asfissiante e micidiale.
Le amministrazioni non hanno solo il diritto, hanno il dovere di vigilare, correggere, vietare, stroncare. Vigilare sull’applicazione delle leggi che pur ci sono, correggere con l’aiuto delle valorose Capitanerie di Porto e con il loro presidio e aiuto stroncare se qualcosa di vietato continua a manifestarsi come lecito. La Puglia è una lunghissima interminabile spiaggia che può essere una risorsa magnifica. Attrezziamola pure, abbelliamola, costruiamo alberghi e apriamo ristoranti (buoni e senza panna e rughetta) perfezioniamo le linee di comunicazione, magari prendendo esempio dagli ottimi nostri aeroporti, stiamo attenti e guardinghi.
Credo che sia utile a progettare una alleanza amichevole tra noi, innamorati del mare, e quanti decidano di lavorare con il mare e con le spiagge per accogliere i viaggiatori, i turisti. La situazione generale del nostro Paese e di tutto il pianeta non consente di rinviare più le decisioni importanti. È l’ultima spiaggia.