Lessico meridionale
Le persone inutili e i posti inventati
La risposta di De Gaulle a chi voleva eliminare gli imbecilli dalla vita politica: «Programma troppo ambizioso»
Avvertito dalla solerzia di un collaboratore della necessità di eliminare gli imbecilli dalla vita politica, il Generale De Gaulle costatò: «Programma troppo ambizioso». Gli imbecilli non praticano le metafore perché li terrorizza la loro complessità logica e li imbarazza il dinamismo simbolico che attiva l’orizzonte allegorico. Insomma, perché sono imbecilli. E sono, spesso, nei posti di comando. Non sempre per colpa loro, ma perché al rango delegati dal sistema burocratico.
Una sensazione che inquieta pervade il paese: che, talora, non ci siano le persone giuste al posto giusto. Nel vecchio ordinamento spontaneo della civiltà contadina rimpianta e, in verità, oggi poco conosciuta se non per vezzi sociologici o coloriture picaresche, ognuno stava al suo posto. Anzi, per meglio dire, ognuno «sapeva» stare al suo posto. Questo modo di dire racchiudeva ammonimenti mondani, ma, anche, ragguardevoli precetti di rassegnato buon senso. Sapeva stare «al suo posto» la persona bene educata che rispettava ruoli e competenze, responsabilità e funzioni. È vero, spesso, imporre a qualcuno di «saper stare al suo posto» poteva incutere il comando di costringersi nella servitù della gleba di vario genere, naturalmente, senza speranza di redenzione sociale o di promozione di rango. Un’orribile regola non scritta che poteva significare la sacrificata rassegnazione a mantenersi nella casta sociale senza ambizioni di elevazione o di cambio di diritti e doveri.
«Stia al suo posto!» era ammonimento perentorio e gerarchico che suonava come imposizione autoritaria o dispotica. In una società rigidamente classista, l’ordine risultava odioso e veniva voglia di cambiarlo, quel posto, se non altro per sfottere il «capoccia», il caporeparto, il capoufficio, il caporale. E farlo indispettire. Totò ha insegnato che o si è uomini o si è caporali. Anzi, Totò lo domandava dimostrando, con lo sberleffo sacrosanto, che caporali si resta, mentre gli uomini si possono cambiare. Liberamente. E, forse, «caporali» si nasce, uomini si diventa. Come lo diventano i caporali in divisa a cui va il mio rispetto affettuoso, visto che sono lì per servire la Patria. Per questo mi piace pensare che tutti possano, e debbano, saper stare al proprio posto non nel senso della costrizione fatale nel ruolo appiccicato addosso da altri, ma con l’orgoglio della funzione e del compito. Quel che lamento con inquietudine è la scarsa o inesistente competenza in quella funzione e in quel compito. E questo si contempla spesso, e quel che fa più rabbia, con l’alibi dell’eterno praticantato, dell’entusiasmo, tutto italico, per l’improvvisazione. Italica, poi, la capacità spasmodica nell’inventare titoli da biglietto da visita per nobilitare da felloni le incompetenze ridicole e le giulive approssimazioni. La fantasia non manca e si va da «Addetto alle relazioni esterne» a responsabile della «gestione delle risorse artistiche medio alte» da «Ideativi per il customers service» a «Attorney at call center». E dove non arriva il contorcimento linguistico della lingua italiana capace, parlata dagli sciocchi, di diventare un alibi poderoso, aiuta il maltrattamento dell’Inglese. Sono decine le mansioni misteriose che servono a garantire il salario a chi non sa cosa fare e teme, comunque, di fare qualcosa che somigli ad un lavoro. È la vecchia teoria che sostiene sia meglio, molto meglio, trovare un posto piuttosto che un lavoro. Se, poi, è un posto di lavoro, bisognerebbe saper fare quel lavoro. Ed è una fatica, quella, si. Scansare accuratamente i lavori che esigono fatica fisica o intellettuale è privilegio dei frequentatori dei potenti e della smisurata galassia della politica e dell’amministrazione pubblica che, nel nostro Paese, e vergognosamente smisurata con punte paradossali, nell’impresa culturale.
Bernard Shaw diceva che «se uno una cosa la sa fare la fa, altrimenti la insegna». Se fosse campato abbastanza per fare, oggi, una scampagnata in Italia, potrebbe bearsi con il suo grande spirito iconoclasta, registrando quel che succede in certe Università italiane, pubbliche e private, con amplificazione in queste ultime, riguardo alla nascita di nuovi insegnamenti, cattedre, potentati accademici. È un quadro pittoresco. Si arriva ad istituire corsi di laurea in discipline marginali e insignificanti che potrebbero essere comodamente assorbite da lauree vere e consolidate di più ampio respiro. Discipline bizzarre, inventate, talora, per far posto all’istituzione di cattedre, cadreghini, contratti, sinecure accademiche al limite del grottesco.
So di lauree nella amministrazione e ordinamento del magazzino o in «Formazione del tricipite nella gestione degli impianti sportivi nelle città medio-piccole». Il tutto sottraendo risorse alla ricerca vera e all’autentico studio. Facoltà e insegnamenti per laureare «caporali» che non saranno mai persone giuste al posto giusto, ma persone inutili in posti inventati. Loro, si, che hanno tutto l’interesse a stare al proprio posto. Sempre meglio che lavorare.