Lessico meridionale

Quel pessimo uso della modernità

Michele Mirabella

Dalle lettere di Totò all’utilizzo illecito del mondo, dei mezzi e dei linguaggi dell’informazione e della comunicazione

«Nun teng’ nemmeno li sold’ p’ pagare la lettera a lu scrivan’ che mi sta scrivend’ la lettera presente» detta il furbo contadino inurbato a Totò scrivano per fare arrivare a Giuseppe compare nipote le notizie della sua indigenza cittadina.

Lo zappatore avverte la famiglia delle sue precarie disponibilità economiche mentre informa lo scrivano che non sarà pagato. Totò intercetta il messaggio e interrompe la mansione: la lettera non sarà né scritta né spedita, il nipote nella profonda Puglia non sarà allarmato e, quindi, non manderà allo zio soldi, scamorze e pomodori.

Miserie da vicolo e nobiltà da massmediologi rinomati: il mezzo, la lettera, è il messaggio. McLuhan sorride e, compiaciuto, appunta che il messaggio accessorio «non c’è una lira» ha annullato il messaggio principale e strappato il mezzo in mille pezzi. E Felice Sciosciammocca, lo scrivano, dovrà rinunciare alla pizza nella quale aveva già investito il guadagno sperato: non si mangia neanche oggi.

Astutamente, lo zappatore di cervello fino, anche se calzato «alla grossa», intuisce la forza del carattere implicito del messaggio: io parlo a te che leggerai per far sapere a lui che scrive sotto dettatura. Più familiarmente, si usa dire «la lettera è alla moglie perché la suocera intenda».

Scena seguente. Stamberga. «Miseria e nobiltà». Ciak. La suocera e Totò si innervosiscono: la prima borbotta verso la stanzuccia da letto, mentre il secondo butta via la lettera mai spedita e si rassegna a digiunare.

Totò epistolografo si illustra pure con un ineffabile Peppino De Filippo nella stesura della mitica lettera alla «malafemmina» in un altro gioiello del cinematografo. Il recapito è quello della sciantosa, ma i destinatari veri sono gli spettatori di allora e di sempre, che, innumerevoli, anzi, «abbondandis id abbondandum», continuano a ridere di cuore dei fratelli Caponi che ci scrivono senza badare a spese di punteggiatura e ci salutano «indistintamente». Ma tutti, tutti gli autori, esplicitamente o implicitamente, parlano ai lettori, a loro recitano e cantano e raccontano.

All’onorevole pubblico contemporaneo e a quello che verrà. Quello che verrà è venuto e non usa più affidarsi allo scrivano per corrispondere con chicchessia, anzi, per dirla con Totò, «chicche e sia». Quello che è venuto, oggi usa le nuovissime diavolerie dell’informatica e legge, scrive, corrisponde con le tavolette elettroniche che hanno dei nomi strani, acronimi ermetici, inventati dai guru della nuova religione del computer. Si chiamano I.pod, I.phone, I.Pad, e in altri molti modi che si affiancano ai cd, dvd. pc, Mac, podcast, eccetera.

A loro è affidata la congerie smisurata della posta che, poi, vuol dire sintesi strumentale del comunicare. E, dunque, si ottiene, ed è la più stupefacente novità, l’estrema facilitazione della comunicazione, praticamente diretta e in tempo reale. Le mansioni d’ufficio esigono l’attrezzatura che mette in grado il politico di essere sempre aggiornato sulle cronache, sugli avvenimenti, sulla politica, su quello che dicono e non dicono i giornali. E possono mantenere la corrispondenza, telefonare, inviare messaggi e riceverne. Altro che scrivani, altro che dettatura.

Ma, oggi, i nostri politici sono alle prese con una mostruosa tempesta che squassa gli ambienti del potere politico ed economico. Parlo dei fatti che la magistratura ha scoperto: uso illecito del mondo, dei mezzi e dei linguaggi dell’informazione e della comunicazione. Per quale uso e con quali obiettivi è ancora un mistero e i responsabili, a parte un malcapitato ufficiale della Guardia di Finanza, sembrano ignoti. Ci informeranno, magari senza usare la corrispondenza scritta a ognuno dei cittadini? Possono servirsi della tecnologia usata illegalmente fino a ieri, per confessare i misfatti a noi, innocenti e ignari e gli obiettivi, i bersagli, ancora, ignoti.

Ignoti a noi che siamo le vittime del pessimo uso della modernità, per niente compari dei responsabili. Noi che non possiamo permettere troppo scialo tecnologico e, cii facciamo bastare un telefonino e la tavoletta. Perché per noi la “moria delle vacche” c’è da un pezzo e non c’è bisogno che ce lo scrivano gli zii fratelli Capone. Noi che non siamo sciantose «male femmine» che scialano coi soldi dei lavoratori lo sappiamo e ancora guardiamo la tv con fiducia, con fiducia leggiamo il giornale.

Quelle, le malefemmine, si possono permettere tavole e tavolette, telefonini e computer e tv, e I.ditutto. Ci spieghino, dunque quelle scandalose vicende che stanno arruffando le cronache politiche.

Dettiamo la lettera, chiara e aperta e non nascosta in un «file» e la indirizziamo a lorsignori. Signori, veniamo noi con questa mia addirvi una parola che scusate che non vi diamo dei soldi nostri perché questa storia di farvi i fatti vostri dietro a noi e al nostro lavoro deve finire. Le vacche grasse sono a dieta. Punto, due punti: Vogliamo sapere che cosa hanno scoperto i giudici a Perugia. Punto e basta!

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