Lessico Meridionale

L'incontenibile amore dei beoti per la forza fisica

Michele Mirabella

Ciascuno vive ed esprime il disturbo con modalità e in circostanze diverse, ma apparentemente soffrono tutti dello stesso male

La fonte della citazione è la Vita di Alcibiade di Cornelio Nepote, scrittore latino: Beoti magisfirmitati corporis quam ingenii acumini serviunt. In italiano vuol dire che i Beoti apprezzano più la forza fisica che l’acume intellettuale. In antico, la stupidità dei Beoti era proverbiale: scemi al punto da esser conosciuti per preferire la firmitas corporis all’acumen ingenii dove la firmitas sta, sì, per forza fisica, ma considerato il clima culturale degli antichi greci investigati dal sobrio Cornelio Nepote che li considerava inclini alle esteriorità, merita, invece di salute, la più plausibile traduzione di bell’aspetto fisico.

Nel De Tranquillitate animi Seneca ci narra dell’amico Anneo Sereno che si è rivolto a lui in quanto medico dell’anima per trovare la causa del male che lo affligge: lievi attacchi di febbre e una costante sensazione di nausea. Seneca individua nella mancanza di euthymia ovvero «buona disposizione di animo», come lo stesso autore traduce dal greco, o nella mancanza di equilibrio psicologico la causa dei suoi disturbi.

Infatti, sono estremamente frequenti e diffuse le alterazioni fisiologiche temporanee determinate da particolari stati emotivi. Ciascuno vive ed esprime il disturbo con modalità e in circostanze diverse, ma apparentemente soffrono tutti dello stesso male. L’unica medicina, conclude il medico Seneca, consiste quindi nel riacquistare fiducia in sé stessi e l’agognata tranquillità. Il classico mens sana in corpore sano, pur valido come constatazione di fatto, può, dunque, essere esattamente capovolto affermando che il corpo risulterà sano solo se lo è la mente.

Sino da allora i sapienti compresero che nell’ottica psicosomatica certe malattie non solo traducono delle turbe emotive, ma esprimono in quel dato organo uno specifico disagio emotivo, proprio perché quell’organo e la sua funzione si prestano a rappresentare simbolicamente il disagio stesso. Per esempio ci si può ammalare all’apparato digerente, perché non si «digeriscono» certe situazioni o certe persone. Da qui la nausea di Anneo Sereno. E la nostra per certi contemporanei.

A me Mens sana in corpore sano, ricorda i professori educazione fisica che l’hanno sempre borbottato in Latino, forse, per riscattare la loro disciplina dalla poca attenzione che la scuola di un tempo le destinava e ammonivano con una traduzione ginnasiale che, appunto, occorre pensare, si, all’erudizione della mente, in questo sana, ma anche all’educazione del corpo che va mantenuto in buona forma.

Non tutti abbiamo praticato palestre efficienti e funzionali. Io, per esempio, ho frequentato troppe scuole per via della mia scarsa attenzione alla mens sana, a causa del mio essere discolo e del mio tentativo di ottenere il corpus sanum con giovanili passeggiate sostitutive delle lezioni, ma ricordo palestre con pertiche traballanti e cavalline scalcinate, nonché mazze a forma di birillo che nessuno usava mai. Comunque, appeso al muro, c’era il cartello che riportava, con eleganti lettere anellate, l’avvertimento in questione.

Visto, però, che ho declinato con correttezza quel “corpore” del motto, chi legge può desumere che non era lo studio ad annoiarmi, ma la scuola com’era fatta. E lo studio mi ha spinto sempre a cercare le ragioni di tutto e a non accontentarmi della «prima bottega», come ammoniva il professore di Latino spingendoci alla consultazione attenta del vocabolario Latino-Italiano.
Ed ecco che scopro chi proferì la frase e appuro anche che non era destinata a figurare appesa ad un muro di un’aula di ginnastica. Fu Giovenale, poeta latino vissuto a cavallo tra il I e il II secolo dopo Cristo a scrivere in lampante poesia Orandum est, ut sitmens sana in corpore sano(Satire, X, 356.) che vuol dire letteralmente: «Questo dobbiamo chiedere nelle preghiere: una mente sana in un corpo sano». Dal contesto e si capisce che il poeta invita a rivolgerci agli dei perché ci concedano un’anima forte in un corpo robusto e che ci diano la forza di sopportare le fatiche e di affrontare le malattie. Che, se poi questo ci consente anche di spiccare un bel salto in alto o di illustrarci nel lancio del giavellotto, non potrà che farci piacere.

La riflessione di Giovenale non credo escludesse le nostre personali attività di sostegno alle grazie erogate dalle divinità sempre benaccette dalle medesime che, più tardi, ispireranno a qualche Bertoldo di buon senso il perfetto «Aiutati che il ciel t’aiuta». A star bene, a star meglio, a guarire. Marziale, un altro poeta latino che non potrà non piacere ai lettori più curiosi coniò questo motto: Non vivere sed valere vita est. Saggissimo. Sta per «La vita non è vivere, ma star bene» letteralmente. Il motto è più adatto al tempo nostro se reso con un’integrazione che ci fa riconoscere che «La vita non è “solo” vivere, ma star bene». Pregati gli dei, consultati i medici, accontentati i professori di ginnastica, ascoltati i farmacisti non restiamo che noi, con la nostra responsabilità e la nostra prudenza che dobbiamo pensare a noi stessi, ad anima e corpo. E per dirla sempre in Latino: Faber est suaequisquefortunae. Traduci, lettore, non è difficile. Tradurre esercita la memoria e, quindi, fa bene alla salute.

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