serie a

Sticchi Damiani e il Lecce: «Troppi soldi, lotta impari»

Antonio Calò

«Noi abbiamo un progetto definito, siamo riconoscibili. I fondi, direi di no»

LECCE - Il calcio italiano tra proprietà straniere, società indebitate e club virtuosi. Tra fondi spesso lontani anni luce dalla passione dei tifosi, alcuni mecenati che investono nel Belpaese e pochi sodalizi legati al territorio a cui fa capo la squadra. Sono questi i temi trattati dalla trasmissione «Giù la Machera», su Radio Rai, con l’intervento di Saverio Sticchi Damiani, presidente del Lecce. Il massimo esponente del club giallorosso rammenta il percorso compiuto alla guida della società: «Sette anni fa, da socio di maggioranza, sono diventato presidente dell’Us Lecce, con un gruppo di soci salentini e, come me, da sempre tifosi della squadra che abbiamo rilevato. È iniziato un percorso che ci ha portati in dalla C alla A. Nell’annata in corso ci stiamo cimentando in massima serie per la terza stagione di fila. In questo cammino non abbiamo centrato solo dei risultati sportivi, ma è stato portato avanti anche un lavoro di consolidamento della società, che ha saputo strutturarsi su aspetti altrettanto importanti quali gli impianti sportivi ed il settore giovanile con la politica dei giovani, mirando ad avere bilanci sani ed in equilibrio». Alla base non ci sono segreti: «Il calcio è una azienda ed in quanto tale non sfugge alle logiche che sovrintendono all’amministrazione di qualsiasi azienda. Noi abbiamo messo in campo le conoscenze legate alle nostre professioni e alle nostre capacità imprenditoriali sviluppate in altri ambiti, applicandole al football».

Una formazione di provincia, che fa capo ad un sodalizio che mira ad una gestione oculata, deve vedersela con compagini che appartengono a proprietà che fanno riferimento a fondi con capitali enormi, in una serie A sempre più sbilanciata. «Si tratta di uno scontro impari - sostiene Sticchi Damiani - Sovente non si sa con certezza nemmeno chi siano le proprietà che rappresentano le diverse compagini sociali, che a volte si alternano. Non di rado, inoltre, si registrano passaggi da un fondo ad un altro. Capita che situazioni critiche a livello finanziario vengano ripianate in corsa oppure attraverso il subentro di un nuovo soggetto della stessa natura, ovvero un altro fondo. È evidente che in questo modo si spersonalizza il tema delle proprietà». Il massimo esponente del Lecce prosegue sulla questione: «Non si sa bene chi si abbia di fronte e quali siano le potenzialità di un club. La sfida è impari perché dall’altra parte ci sono i sodalizi come il Lecce, che non è l’unico, composti da persone fisiche. Noi dobbiamo muoverci usando i mezzi derivanti dalla gestione di una azienda calcistica che effettua investimenti commisurati alle capacità di bilancio. Insomma, siamo facilmente “decifrabili”». Ma la questione-chiave è quella dei debiti prodotti da alcune società: «Questa è una delle maggiori criticità del calcio italiano. Rispetto a questo tema la lotta è davvero impari e noi, per colmare il gap con questi club, ci lambicchiamo il cervello ogni giorno».

Sempre più proprietà straniere acquisiscono sodalizi del Belpaese: «Va fatta una distinzione. C’è il ricco imprenditore che si innamora di una città o di una regione ed investe nella squadra. Questo è un esempio virtuoso. Poi ci sono i fondi per i quali acquistare un team con determinati livelli di indebitamento è un affare. Il vantaggio è dato dal fatto di comprare a basso costo per poi puntare al risanamento e ad una successiva vendita a prezzo più elevato». Tra le voci più “salate” a carico di molte società, oltre al monte ingaggi, ci sono le “commissioni ai procuratori”. «Incidono tanto. È forte quel sodalizio che sa dire “no” a questa logica. Ma se non si tessera un calciatore magari si è meno competitivi sul piano sportivo. In questo caso la soluzione ci sarebbe, a volerla applicare. Andrebbe introdotta una proporzione tra la cifra di ogni singola operazione ed il quantum da versare come commissione. I tifosi spesso pensano che un giocatore arrivato a parametro zero non sia costato, ma non è così perché in questi casi l’agente rivendica una quota più alta».

Uno dei dibattiti, legati anche al rendimento della nazionale, è quello sulla massiccia presenza di stranieri negli organici dei club di serie A. «Questo non è per forza un limite - rimarca Sticchi Damiani - Se si tratta di calciatori validi, contribuiscono a fare lievitare il livello qualitativo di un team, nel cui ambito migliorano anche gli italiani che, se sono bravi, trovano spazio in campo. Insomma, si innesca un processo virtuoso. Ma ci sono anche rose che annoverano solo stranieri e questa è una esagerazione che non determina benefici». Non è facile, in Lega, trovare la quadra tra i diversi interessi: «Dalle varie discussioni emergono le differenti vedute tra grandi club e sodalizi medio-piccoli. Si tratta di trovare una sintesi, un punto d’incontro. Le società più importanti vorrebbero un campionato a 18 squadre, ma le altre sono contrarie a questo progetto». A gennaio, il Lecce ha ceduto Patrick Dorgu allo United e, partito il danese, si sta mettendo in mostra l’argentino Santiago Pierotti: «Attendevamo la sua esplosione. È stato ingaggiato nel mercato invernale 2024 e dopo un periodo di ambientamento sta facendo bene. Ha interessanti potenzialità sia fisiche che tecniche».

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