Scoperta suggestiva

La storia segreta di Porto Badisco: tra grandi misteri e strane apparizioni

Grazia Piscopo (* Studiosa di Cabala Ebraica)

Già nel 29 a.C. il sommo poeta Virgilio, nel III canto dell’Eneide, raccontava dell’approdo di Enea sulle spiagge salentine di Porto Badisco

LECCE - Tante sono le storie del nostro magico Salento, Terra amara e “fatigata”, fertile sia di meraviglie naturali uniche al mondo e sia di storie misteriose. Nel 29 a.C., il sommo poeta Virgilio, nel III canto dell’Eneide, raccontando dell’approdo di Enea sulle spiagge salentine di Porto Badisco, dopo la disfatta di Troia “...dove due rocce spumeggiano d’acqua salata, mentre il porto rimane nascosto...”, era tuttavia inconsapevole che del porto pugliese, molti secoli dopo, ne avrebbe ancora parlato la Storia, anche per una misteriosa Grotta dei Cervi nell’omonima valle, di epoca neolitica, rimasta asfittica e occultata sotto l’asfalto e cemento per ben 6.000 anni. Porto Badisco ci racconta una incredibile storia che ha appassionato, per singolarità e mistero, tutto il mondo scientifico e culturale. La scoperta di una antica grotta neolitica, venuta alla luce circa 50 anni or sono, rappresenta un bene inestimabile, inserito nel Patrimonio Mondiale della Umanità dall’UNESCO.

Una sera durante un incontro conviviale con il mio amico Luciano Faggiano, titolare del famoso Museo Faggiano a Lecce, mi racconta, abbassando la voce, consapevole della meravigliosa stranezza che gli era stata confidata da uno dei protagonisti della vicenda, che il 1° febbraio 1970, cinque speleologi del Gruppo «P. De Lorenzis» di Maglie, Severino Albertini, Daniele Rizzo, Isidoro Mattioli, Enzo Evangelisti e Remo Mazzotta, raggiunsero Porto Badisco e si avventurarono nel Nulla di una natura inospitale che in seguito sarebbe stata chiamata Valle dei Cervi.

Le infruttuose ricerche li avevano infine sfiancati. La stanchezza e il freddo in quell’alba invernale, li avevano quasi convinti dell’inevitabile ritorno a casa con le pive nel sacco, quando Severino Albertini, capo-spedizione, speleologo per vocazione e restauratore per professione, dovendosi liberare urgentemente di inopportuni bisogni fisiologici, si dovette allontanare dal gruppo. In tale stato di fragilità fisiologica, fu preso da improvvisa irrefrenabile paura per la comparsa di un grosso serpente eretto e minaccioso sbucato nell’immediata vicinanza della sua fortunosa privacy. Ebbe appena il tempo di urlare, facendo così accorrere i suoi amici, che dalla fredda bruma invernale, ebbero tutti modo di vedere la comparizione di una anziana donna completamente vestita di nero dalla testa ai piedi, che avanzando verso di loro, come se galleggiasse nella nebbia, pronunciò parole in stretto vernacolo locale : «Iti acchiatu lu serpe, mo truati l’acchiatura» (avete trovato il serpente e adesso troverete “l’acchiatura”). L’acchiatura è un dono stregato che soltanto potentissime fattucchiere, secondo una leggenda che non è mai stata scritta, possono a loro discrezione elargire, ma tuttavia riscattando per se stesse un oggetto del desiderio di loro piacere come forma di pagamento. Incuranti dell’immediato pericolo non capendo nè le parole nè il loro senso, ma intuendo la prossimità di una scoperta, incominciarono a scavare a dieci mani là dove era uscito il serpente, facendo luce piano piano sulla scoperta moderna più incredibile della storia.

Venne fuori l’ingresso con 4 corridoi-cunicoli polidirezionati estesi per poco più di 1 Km, di un monumento preistorico ricco di circa 3.000 pitture e graffiti policromati raffiguranti mani stampate, cervi, azioni di caccia e provabili divinità; utensili di uso comune di terracotta e per finire, nell’ultimo cunicolo, alcuni dei quali con accessi di soli 45 cm. di diametro, due scheletri scomposti, forse ultime vestigia degli indefessi e ignoti artisti. Memorie intatte, bagnate soltanto dal fiume sotterraneo Silur ora scomparso, che hanno permesso di ridefinire scientificamente la trasformazione evolutiva dei nomadi di Badisco, provenienti dal centro Europa, in stanziali agricoltori e allevatori dediti alla lavorazione della ceramica.

Quella della Grotta dei Cervi, con annesso cunicolo dei Diavoli, scoperta di eccezionale importanza, avrebbe dovuto fornire ai cinque speleologi (a cui in seguito se ne aggiunsero altri due, Nunzio Pacella e il fotografo Pietro Salamina) fama, notorietà e ricchezza. Purtroppo per un cortocircuito tecnico fatto di lentezza di carte bollate e comunicazioni ufficiali, scoordinate, al Sopraintendente alle Antichità di Taranto, prima che l’ufficialità fosse ottemperata, i nostri eroi furono danneggiati da pesanti denunce e da inevitabili oneri pecuniari. L’antica “acchiatura” aveva colpito ancora, non solo per una giurisprudenza borbonica e ottusa detrattrice di giusti riconoscimenti, ma la stessa si estese anche sul bene più prezioso dei cinque esploratori: la vita. Uno dopo l’altro, in pochi anni, tutti e cinque vennero a mancare per inspiegabili e dolorosi invalidanti problemi di salute e l’unica eredità ai loro parenti più prossimi per assurdo fu soprattutto il pagamento di pesanti oneri finanziari.

Qualcuno di questi emigrò perfino in Cina, volendo così allontanarsi dal dissanguamento monetario e da una beffa infamante e maledetta. Ancora oggi per questioni di sicurezza e per un delicato microclima, la Grotta dei Cervi, inibita al pubblico, rimane ostaggio di un mistero che a quanto pare deve rimanere tale.

Le parole di pietra dell’uomo di Badisco che probabilmente, sacrificando inutilmente se stesso, ha graffiato la sua pelle trascinandosi negli stretti cunicoli per lasciare la memoria della sua vita e della sua civiltà, sono ritornate nel buio e nel silenzio in cui sono nate.

Un Ringraziamento va al sig. Luciano Faggiano, del Museo Archeologico Faggiano di Lecce, per le importanti informazioni e preziose memorie personali con cui ha voluto gratificarmi.

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