I roghi

A fuoco le auto in Salento: è il vecchio metodo della vendetta

Fabiana Pacella

Una soluzione? Non ce n’è mai una sola davanti a fenomeni così eterogenei e diffusi. Tacere non si può.

Intercettando una conversazione amicale tra due ufficiali, quando ancora s’andava in giro sotto le caserme con penna e taccuino “e sarà l’ennesima storia di corna, qua la gente è passionale”, si sentì.

Il riferimento era alla pratica, usa allora come oggi a distanza di una ventina d’anni, di mettere fuoco alle auto per lavare, anzi bruciare, ogni sorta di onta e sgarro, lanciare un segnale e farla pagare col minimo sforzo e la massima resa. Questione di cultura, ed economia.

Va da sé che quella frase fosse un modo per edulcorare i toni di una situazione a metà tra il grottesco e il consueto, su cui le forze dell’ordine tutte non hanno mai abbassato la guardia ma, quanto sta accadendo da tre mesi a questa parte nella provincia di Lecce supera quel ricordo cameratesco ed involve in allarme sociale. Forte, sentito, evidente. Se da novembre ad oggi i numeri consegnano alle cronache oltre 70 o 80 mezzi incendiati, almeno 2-4 riunioni ad hoc del comitato per l’ordine e la sicurezza in prefettura e servizi straordinari interforze di controllo del territorio.

Il Salento brucia. E ciò che è peggio, se la radiografia del reale non fosse sufficiente, è che per ogni porzione della provincia, per ogni episodio, occorre una lettura a sé. In sintesi, il caos.

Autovetture, autocarri, auto compattatori ridotti ad ammassi di ferraglia fumante. Prese di mira aziende che si occupano di raccolta e smaltimento rifiuti, auto concessionarie, privati, alcuni dei quali già noti alle forze dell’ordine. I numeri da capogiro dipendono anche dal propagarsi dei roghi a mezzi che nulla hanno a che vedere con i destinatari diretti dei piromani. Ma tant’è. Solo a Monteroni, in due vie attigue, qualche notte fa sono andate distrutte 9 auto. Il tutto dopo un episodio analogo pochi giorni prima. Una sorta di botta e risposta, secondo l’attività investigativa.

Perché, diciamolo, l’incendio doloso di un mezzo di locomozione è l’anticamera di altro di peggio, una sorta di silenziatore messo giocoforza alla bocca e all’azione della vittima. Un avvertimento che, dicevamo qualche capoverso più su, dà risultato e costa poco.

Le indagini sono complesse e lunghe, a meno che l’attentatore non sia uno sprovveduto, le fiamme si propagano in fretta e lasciano il segno, la punibilità è relativa e si traduce nella maggior parte dei casi in una denuncia per danneggiamento. Non di meno, l’azione plateale, lo spiegamento di forze dell’ordine e l’eco sulla stampa irrora l’ego di chi agisce e aumenta la paura della vittima.

Un’equazione algebrica. Perfetta.

Sulle ragioni intrinseche del fermento infuocato degli ultimi mesi, una tipologia di fenomeni è senza dubbio riconducibile a dissapori e contrasti di natura privata tra le persone coinvolte, molto spesso relazioni finite male, divisioni di beni familiari, situazioni lavorative insoddisfacenti. Più delicata invece la situazione a sud della provincia, nel territorio di Casarano. Qui l’attività di indagine già approdata a un quadro definito, sono in corso nuovi assetti della criminalità locale. L’incendio dunque, letto dagli addetti ai lavori porta a debiti di droga, attività di impresa taglieggiate e necessità di stabilire chi comanda, tra vecchie e nuove leve, carcerazioni e ritorni alla libertà.

In questo quadro magmatico e composito, la variabile indipendente pericolosa quanto le altre, chiude il cerchio: l’emulazione.

Anche questa accertata, verificata, reale. Preoccupante perché in mano a can sciolti e quindi imprevedibile. Il piacere fine a se stesso di lasciare il segno, leggersi sui giornali e godere di una possibile impunità favorita dal buio della notte, meriterebbe un pezzo a sé, con l’aiuto magari di uno psicologo per addentrarsi nelle pieghe della mente umana e delle sue parafilie.

Una soluzione? Non ce n’è mai una sola davanti a fenomeni così eterogenei e diffusi.

Tacere non si può. La cronaca ha le sue ragioni: ciò che non si dice e non si scrive non esiste.

Affidarsi “solo” alle forze dell’ordine non è una scusa per restare fermi a guardare, anche perché per mettere la parola fine a tanta follia occorrerebbe una marcatura a uomo.

Fare la propria parte. Tutti. Perché su 70, 80 incendiari, ci sono decine di migliaia di persone perbene. Che potrebbero diventare vittime e che devono riscoprirsi cittadini attivi. Collaborando, denunciando, uscendo dal cono d’ombra dell’omertà. Le vittime, per prime, molto spesso fanno spallucce e dichiarano di n on aver ricevuto minacce.

Quando qualcuno però alza la testa, parla, collabora, i risultati arrivano. E così come gli incendi dolosi sono un problema di tutti. L’arresto dei responsabili è la vittoria di tutti.

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