LA SCOPERTA

Acaya, quel tuffo nel Rinascimento del Salento

Giuseppe Pascali

Castello, borgo, piazze, frantoio e museo. E per gli amanti della natura c’è la Riserva delle Cesine

C’è un luogo nel Salento leccese dove l’incanto della storia si intreccia con una natura genuina e rigogliosa, per digradare verso un mare dai riflessi limpidi. Un’area di appena pochissimi chilometri che ha il suo cuore in un piccolo borgo rinascimentale su cui svetta il suo castello. È da qui che si parte per un tour ideale, da questo paesino che conta appena 450 anime e che dal 1535 sulle mappe prende il nome di Acaya, dalla famiglia nobiliare che ne ricevette il feudo da Carlo II d’Angiò alla fine del Duecento, sostituendo il precedente nome di Segine.

La vecchia fortezza

Furono gli Acaya a mutare la preesistente fortezza con un nuovo castello, quello oggi visitabile, che ingloba anche i resti di un edificio di culto trecentesco, del quale attualmente sono osservabili tratti dell’altare e l’affresco della «Dormitio Virginis», venuto alla luce nel corso delle indagini archeologiche connesse ai lavori di restauro promossi dalla Provincia di Lecce. A Gian Giacomo dell’Acaya, valente architetto militare, si deve invece il complesso programma architettonico che trasformò il borgo in una vera e propria «città-fortezza», con mura munite di baluardi e circondate da un profondo fossato. All’interno di questo schema simmetrico si articola un reticolo di strade rettilinee, mentre lungo la diagonale che congiunge idealmente il castello al baluardo Nord-Est sono collocate le tre piazze.

Il restauro

Dopo decenni di parziale abbandono e declino, la Provincia di Lecce ha provveduto ad opere di conservazione e valorizzazione del castello, rendendo fruibili il frantoio, le scuderie, le cucine e i magazzini, oltre al sovrastante piano residenziale e dal gennaio 2013 ospita la mostra «Roca nel Mediterraneo. L’età del Bronzo e del Ferro», esposizione museale curata da Oronzina Malecore e Luigi Coluccia e dedicata al vicino centro costiero di Roca, che presenta marcate similitudini architettoniche medioevali con Acaya. Castello e borgo, recuperati in tutto il loro fascino, sono meta costante di turisti e visitatori, perché bello «perdersi» tra le viuzze strette di questo luogo doveil tempo sembra essersi fermato e dove il passato è presente anche a tavola, con trattorie e ristoranti del posto che prendono per la gola con piatti antichi, tra cui i «pampasciuni», caratteristici tuberi amarognoli per i quali il borgo è famoso.

L’oasi delle biodiversità

Solo pochi chilometri e siamo nella riserva naturale delle Cesine, riconosciute nel 1971 a Ramsar, in Iran, come «Zona Umida di Interesse internazionale» per divenire nel 1979 Oasi WWF e dichiarate nel 1980 Riserva naturale dello Stato con gestione assegnata al WWF Italia. La riserva ospita un eccezionale mosaico di habitat caratterizzato da una immensa e complessa biodiversità, con una superficie boscata rappresentata da pineta a pino d’Aleppo e pino domestico, cipresso, pino delle Canarie e pino marittimo oltre a foreste di Leccio e macchia mediterranea. Residui di antiche paludi d’acqua dolce spuntano qua e là, tra canneti a cannuccia e aree di falasceta.

La flora e la fauna

Le Cesine sono anche la culla di numerose specie di orchidee spontanee. Vastissima e variegata è anche la fauna. Non ci si stupisca se visitando la riserva ci si imbatte nel volo di farfalle come vanesse del Cardo, così come nelle notti di fine inverno e di primavera si può udire il canto di migliaia di raganelle, fino a qualche chilometro di distanza. E poi folaghe, fringuelli e cinciallegre, insieme a sornioni tassi e a volpi. E se si vuole affidare al mare la tappa finale del tour, San Foca è solo a pochi passi, situata tra Torre Specchia Ruggeri e Roca Vecchia, con la sua costa a falesia e le sue insenature sabbiose, gli scogli con forme caratteristiche nell’insenatura a Nord, tra cui i «brigantini», «lo scoglio del sale» e «lo scoglio dell’otto».

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