Arte
Lecce, il tesoro millenario del Museo Faggiano narrato anche dal New York Times
Alla scoperta di un luogo visionario, nel centro storico
Messapi, Romani, Medioevo, Rinascimento: più di duemila anni di storia concentrati in poche stanze dislocate su due piani. Una Casa ai civici 56 e 58 di via Ascanio Grandi, nel centro storico di Lecce, a due passi da Porta san Biagio, con Rudiae e Napoli, una delle tre cittadine rimaste in piedi. La quarta, porta san Martino, si trovava nei pressi della Prefettura, ma è stata purtroppo abbattuta.
IL MUSEO FAGGIANO Due porte in legno color miele fungono da ingresso. Fra l’una e l’altra, adagiata sul prospetto in pietra leccese, c’è la riproduzione di un articolo dell’autorevole New York Times. È il biglietto da visita del Museo «Faggiano», che proprio grazie a quell’articolo, scritto per caso il 15 aprile del 2015 dal giornalista Jim Yardley, in vacanza nel Salento con la famiglia, si è ritagliato un posto di primo piano nel mondo intero.
UN MUSEO NATO PER CASO Nel 2001, al rientro da Coventry nel Regno Unito, dove per pagarsi gli studi in un college, imparare l’inglese e tentare poi la strada dello stuart, lavora nel ristorante italiano «Quo Vadis», Luciano Faggiano, classe 1955, compra quattro vecchie stanze per farne abitazione al primo piano e trattoria al terra. Di cucina ne sa in abbondanza: i genitori avevano un’avviata trattoria in piazzetta santa Chiara, e successivamente la gestione del ristorante dell’albergo «Risorgimento». Fa realizzare nuovi impianti e sistemare i fornelli, ma con la fogna ci sono problemi: perde da qualche parte e l’umidità si tocca con le mani. Da quel momento le cose cambiano. I colpi di piccone restituiscono antichi tratti di mura, tombe, epigrafi, vasellame. Sotto il pavimento viene alla luce anche l’acqua del fiume Idume, che scorre in buona parte del borgo antico prima di sfociare nella marina di Torre Chianca.
UN TESORO DI 3.000 PEZZI Luciano Faggiano non sa che per quei ritrovamenti deve allertare la Soprintendenza alle antichità. Una segnalazione anonima lo mette nei guai: viene denunciato e la vicenda giudiziaria si chiude molti anni dopo con la prescrizione. Ma è chiaro che non voleva mettere le mani su quei reperti. Più di tremila, compresi monete, un prezioso anello vescovile e alcune pipe di pregevole fattura, che oggi si trovano parte nel castello di Carlo V, parte nel Museo «Sigismondo Castromediano», ma che per essere ammirati, siamo convinti dovessero restare dove sono stati trovati. D’altra parte, per creare il «suo» Museo, Faggiano ci ha speso e continua a spendere denaro di tasca propria. E attraverso l’associazione culturale «Idume», dal 2008, anno dell’apertura, lo gestisce e lo tutela assieme alla moglie Anna Maria Sanò e ai figli Davide, Marco e Andrea. Come lui, quest’ultimo ha lavorato un paio d’anni in Inghilterra, ma l’inglese lo ha voluto imparare per accogliere al meglio, una volta rientrato a Lecce, i turisti stranieri nella Casa di famiglia, che è anche proprietaria del vicino bar «Astoria», con accanto giardino e gelateria.
LA LUNGA STORIA Fra il 1000 e il 1200, il «Faggiano» è stato una Casa templare. Sino al 1600 convento delle suore francescane dell’Ordine di Santa Chiara, il cui arco d’ingresso, spostato al primo piano, era visibile fra la prima e la seconda stanza del pianoterra. Sulla sommità è incisa l’epigrafe: «Si Deus Pro Nobis Quis Contra Nos» (se Dio è con noi chi è contro di noi). Nelle stesse due prime stanze, sono una Rosetta templare che indicava l’arrivo in un luogo sacro, canali in pietra per la raccolta delle acque piovane, un pavimento d’epoca messapica (V secolo avanti Cristo), cisterne per l’acqua profonde 5 e 7 metri, una tomba ipogea, e ancora, un silos dell’anno Mille, una pietra decorata del XVII secolo, ceramiche di fine Seicento murate per evitare le infiltrazioni, un passaggio fra le pareti e le cisterne, probabilmente collegato con l’anfiteatro romano di piazza sant’Oronzo, e un muro medievale con tracce di un affresco Cinquecentesco. Sempre al pianoterra, nella terza stanza si notano i resti dell’altare della cappella del convento, con intagliate nella roccia alcune foglie che rappresentano il ciclo della vita secondo l’iconografia francescana, e due vasche utilizzate al tempo dei Romani per la lavorazione dei metalli, poi per la macina del grano e infine come ossario. Nella quarta e quinta stanza, infine, la tomba messapica di un neonato e l’angolo dedicato agli scopritori, nel 1970, della Grotta dei Cervi a Porto Badisco: Severino Albertini, Enzo Evangelisti, Remo Mazzotta, Isidoro Mattioli, Daniele Rizzo e Pino Salamina e Nunzio Pacella del Gruppo speleologico salentino «Pasquale de Lorentiis» di Maglie. Al piano superiore, inoltre, insistono i resti del dormitorio del convento, un tratto di muro con ceramiche medievali, un solaio cinquecentesco e una scultura del XII secolo raffigurante un angelo. Sul terrazzo dal quale si vede una spicchio del retro di porta san Biagio, in tutta la sua elegante bellezza, s’erge una torretta di avvistamento.
LE ULTIME SCOPERTE In una grande stanza che affaccia su quello che sarà il secondo ingresso del Museo, in Corte dei Balduini, è affiorata un’epigrafe, ancora da datare. Sul muro ove è incisa, sono scolpite delle linee rette, che in un punto compongono una croce a forma di svastica. Il resto è ancora tutto da scoprire, giacché c’è da scavare per almeno un paio di metri sotto il pavimento. L’altra scoperta, è che accanto all’ingresso del Museo, al civico 58a, Luciano Faggiano ha già fatto fissare l’insegna in legno della trattoria che voleva aprire prima che i colpi di piccone cambiassero il destino delle quattro stanze acquistate al ritorno da Coventry. Come la chiamerà? Ma «Quo Vadis», no?