Il caso Martucci
Ugento, «Giustizia per Roberta l’assassino deve pagare»
Il grido di dolore delle sorelle: «Scopriamo la verità per farla riposare in pace»
LECCE - Magliette bianche con la foto di Roberta e una sala gremita. Grande partecipazione, forse inaspettata da organizzatori e relatori, all’incontro di sabato sera sul caso di Roberta Martucci, la 28enne scomparsa nel nulla quasi 20 anni fa dalla sua abitazione di Torre San Giovanni.
In tanti hanno riempito la sala del Nuovo museo di archeologia per ascoltare le parole della criminologa Isabel Martina e dell’avvocato Fabrizio Ferilli (che insieme alla criminologa Roberta Bruzzone seguono il caso per conto di alcuni familiari) e di due delle sorelle di Roberta, Lorella e Sabrina. Assente la madre della ragazza, che qualche giorno fa aveva diffidato gli organizzatori a non tenere l’incontro.
Il caso è tornato alla ribalta poco più di un anno fa, quando le criminologhe e l’avvocato Carlo Grasso (a cui è poi subentrato Ferilli) hanno chiesto e ottenuto la riapertura del caso ipotizzando che dietro alla scomparsa di Roberta ci sia la figura di un familiare. Nei giorni scorsi, poi, Sabrina Martucci ha raccontato ai microfoni di «Chi l’ha visto?» di aver subìto, negli anni passati, attenzioni particolari da quello stesso familiare.
Nel corso dell’incontro, che è stato organizzato da Gianpaolo Citignola, criminologa e avvocato hanno parlato dei presunti depistaggi che l’uomo avrebbe inscenato per allontanare da sé le attenzioni degli investigatori e per spostarle su due amiche di Roberta, Rory e Rita. Tra questi, l’aver posteggiato la Fiat Uno di Roberta a pochi metri dall’abitazione delle due, in una piazzetta di Gallipoli. «Siamo partiti da un dettaglio - sono le parole di Martina - e abbiamo scoperto una serie di forti contraddizioni nelle dichiarazioni rese da quest’uomo negli anni. Quello che abbiamo rivelato è solo la punta di un iceberg: abbiamo tanti altri elementi, che compongono un’immagine chiarissima». L’auto, che al momento del ritrovamento era priva di chiavi e di documenti, dopo il dissequestro è stata demolita: «Con quale chiave - è la domanda della criminologa - dato che non c’erano doppioni, e con quali documenti? Bisognerebbe chiedere a questa persona come mai fosse in possesso della chiave». C’è poi l’aspetto del bigliettino, ritrovato poche ore dopo la scomparsa nella cassetta delle lettere, che recitava «Sono Roberta e volevo dirvi che sono viva»: «Dopo 18 anni e mezzo, durante il Festival dell’informazione locale di Gallipoli del 2018 quell’uomo ha comunicato ai familiari di averlo scritto lui per scherzo». La criminologa ha parlato anche della pista che collegava la scomparsa di Roberta a un giro di festini: «Questi pettegolezzi sono stati riportati proprio dalla persona attenzionata, e hanno fatto più danni di un omicidio. Mi auguro che si inizi a parlare di Roberta come di una ragazza pulita, per bene. Ripuliamo la sua immagine, è giusto farlo per Roberta e per la sua famiglia». A tal proposito, l’avvocato Ferilli ha ricordato che «sul finire degli anni ‘90 Gallipoli usciva da un forte caso mediatico che aveva a che fare proprio con festini e messe nere. Quindi, quel terreno è stato scelto con arguzia e furbizia straordinarie».
Hanno preso la parola anche le sorelle. «Voglio dare serenità a Roberta, che ora non sta riposando bene», ha detto Lorella. «Non mi importa chi è stato, voglio la verità. Spero che la Procura si sbrighi, ce l’hanno nelle mani. Questa grande partecipazione mi fa sentire forte».
Concetti, questi, ribaditi anche da Sabrina. Al termine dell’incontro, l’ex consigliere comunale Salvatore Riso ha invitato tutti a non lasciare cadere nell’abbandono un altro caso che ha scosso la comunità di Ugento: l’omicidio di Peppino Basile, avvenuto quasi 11 anni fa e rimasto ancora impunito.
L'INTERVISTA ALLA SORELLA: PARLA SABRINA MARTUCCI - «Parlerò finché l’assassino non sarà preso». Sabrina Martucci, sorella di Roberta, nei giorni scorsi è stata al centro di una sconvolgente rivelazione, resa prima agli investigatori e poi pubblicamente ai microfoni della giornalista Filomena Rorro di «Chi l’ha visto?». Ha accusato un familiare - lo stesso che secondo le criminologhe è il responsabile della sparizione di Roberta - di averla molestata per anni.
«È una cosa - spiega - andata avanti per molti anni. Di fisico non c’è mai stato nulla, perché sono riuscita a ribellarmi e ad uscire da quella situazione. Mi ha spinto a rivelarlo il caso di mia sorella: quando gli inquirenti mi hanno chiesto come fossero i rapporti con i parenti, ho esposto la mia verità. Non so se questa mia testimonianza aiuterà gli inquirenti. Se ci sono degli altri elementi che si possono aggiungere a quanto ho rivelato, se ci sono altri indizi che portano anche a questa persona, che la Procura si muova. Non voglio puntare il dito e non conosco il nome e il cognome dell’assassino, ma sono sicura che mia sorella sia stata uccisa, che è morta e che non si sa dove sia. Ciò che mi interessa è trovare il corpo di mia sorella prima di tutto, poi l’assassino. Non ho nessuna speranza che possa essere ancora viva».
Sulla spaccatura della famiglia, poi, Sabrina aggiunge: «Non so perché è successo e se non sono qui oggi avranno le loro motivazioni. Ognuno agisce per come si sente nel cuore. Mia madre si è chiusa, non vuole parlare. Faccia ciò che ritiene opportuno. Io mi comporterò sempre così finché l’assassino non sarà trovato, parlerò finché non lo prenderanno».