l’omicidio di angela petrachi

Spunta il Dna di un altro uomo nel delitto di Melendugno

Linda Cappello

Nessuna traccia biologica del trattorista condannato

LECCE - Sono più di uno i profili genetici rilevati sul cadavere di Angela Petrachi, la mamma 31enne di Melendugno seviziata e uccisa in un bosco alla periferia del paese nel lontano 2002.
Tanto sostiene la difesa di Giovanni Camassa, l’agricoltore condannato all’ergastolo in via definita perchè ritenuto responsabile del brutale assassinio.
L’avvocato Ladislao Massari lo ha messo nero su bianco nell’istanza depositata nei giorni scorsi alla Corte d’Appello di Potenza, alla quale si è rivolto per chiedere la revisione del processo.

In base alla relazione tecnica affidata al professor Adriano Tagliabracci, docente di medicina legale presso l’Università delle Marche e genetista forense, l’esame sui reperti prelevati dal Ris ha evidenziato la presenza di ben due Dna differenti.
Uno, rilevato su una calza della vittima, è risultato appartenere ad un soggetto già noto, la cui posizione all’epoca dei fatti finì all’attenzione delle forze dell’ordine. Un altro, ricavato grazie ad un pelo presente su uno dei bastoncini che erano stati conficcati nel cadavere, appartiene ad una persona sconosciuta. Sono queste le premesse che hanno consentito alla difesa di chiedere la revisione del processo, proprio sulla scorta dei nuovi elementi emersi.
Nell’istanza, il legale evidenzia che in nessun caso gli accertamenti hanno permesso di isolare il Dna di Camassa. Circostanza tutt’altro che di poco conto, se si considera il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello nelle motivazioni della sentenza di condanna. I giudici, infatti, ritennero che l’assenza del profilo genetico dell’imputato era una diretta conseguenza dell’esposizione del cadavere e dei suoi indumenti agli agenti atmosferici, in considerazione del fatto che il corpo della 31enne venne trovato ben 13 giorni dopo la morte.
Se questo assunto dovesse avere una valenza scientifica - si chiede la difesa - come si spiega il rinvenimento di altre tracce di Dna, oltre a quello della vittima?
La giovane mamma scompare il 26 ottobre del 2002 e il suo cadavere viene trovato 13 giorni dopo. È stata violentata e poi uccisa.

GiovanniCamassa finisce nel registro degli indagati quasi subito. Nel corso delle indagini emerge che è l’ultimo ad averla vista. Avrebbe dovuto consigliare la donna sull’acquisto di un cane, da regalare ai suoi bambini. Determinante, durante l’inchiesta, è l’esame dei dati del sistema satellitare Gps. Le celle telefoniche dimostrano che la posizione del suo cellulare è compatibile con luoghi e orari del delitto. Camassa viene arrestatonell’aprile del 2003, con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Resta in carcere fino all’11 gennaio del 2007 quando la Corte d’Assise proscioglie l’imputato con formula piena, «per non aver commesso il fatto». Giovanni Camassa è un uomo libero. Una volta lasciato il carcere si sposa. La Procura però non si arrende e, in Appello, vengono prodotte intercettazioni ambientali raccolte durante le indagini. Ripuliti i nastri dai rumori di sottofondo, emerge una conversazione fra Giovanni e la moglie in cui lei, secondo i giudici, gli fa pesare di averlo coperto. Nel luglio del 2013, Giovanni Camassa, viene condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise d’Appello. Il 26 febbraio del 2014, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e la condanna diventa definitiva.

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