La macchina del tempo

Ottant’anni fa il governo Badoglio, e nel 1993 la stagione delle bombe

Annabella De Robertis

La prima pagina de «La Gazzetta del Mezzogiorno» rivela il momento straordinario in corso nel Paese: «L’Italia ha finalmente la sua vera rivoluzione».

È il 28 luglio 1943. La prima pagina de «La Gazzetta del Mezzogiorno» rivela il momento straordinario che ottant’anni fa è in corso nel nostro Paese: «L’Italia ha finalmente la sua vera rivoluzione». Tre giorni prima, il Gran Consiglio del Fascismo, organo supremo del regime, ha votato la sfiducia nei confronti di Mussolini: costretto alle dimissioni, il Duce è stato tratto in arresto e il re ha nominato a capo del Governo il maresciallo Badoglio. «Sì, viva la libertà; la libertà che ci ha dato la vita, la libertà che ci ha fatti crescere e diventare Popolo, Nazione, Stato; [...] la libertà che è il perno del nostro pensiero, della nostra opera, di ogni civile progresso. Questa libertà è stata per venti anni conculcata, manomessa, annientata. [...] Oggi noi riprendiamo le fila interrotte dalla procella, riprendiamo il cammino. La “Gazzetta del Mezzogiorno” da oggi inizia la sua nuova vita. Essa allontana da sé chi ancora tenta di pescare nel torbido, chi ancora ieri, noncurante delle sorti della patria, biascicava stolide sentenze e ancora più stolide condanne. E questa nuova vita, che è quella della libertà, noi percorreremo sino in fondo, nella certezza di trovare il bene smarrito».

Luigi de Secly, appena nominato redattore capo responsabile, segna il cambio di passo del giornale con un memorabile editoriale dal titolo eloquente «Viva la libertà». In fondo alla prima pagina c’è un trafiletto con una notizia che potrebbe apparire trascurabile: da Roma è stata disposta la scarcerazione di un gruppo nutrito di antifascisti detenuti a Bari. Tra essi ci sono: Guido De Ruggiero, Guido Calogero, Tommaso Fiore, Michele Cifarelli, Giulio Butticci «e molti valorosi e intelligenti giovani studenti», si legge sul quotidiano. Questo annuncio, invece, insieme alle parole di speranza di De Secly, contribuisce a determinare quanto accadrà nel corso di quella drammatica giornata. Alcune persone scendono in strada a manifestare, ignorando i divieti di assembramento imposti: si ritroveranno in più di duecento per andare incontro ai prigionieri politici che sarebbero stati scarcerati. C’è fermento a Bari, ansia di libertà. Il corteo spontaneo e pacifico, però, viene bloccato all’altezza della sede del Partito nazionale fascista, in via Niccolò dell’Arca: un reparto dell’esercito, insieme ad altri militari e individui armati nascosti nel palazzo, apre il fuoco contro uomini disarmati, molti ragazzi, alcuni bambini. Il bilancio definitivo della strage sarà di venti morti e circa settanta feriti: finisce così, nel sangue, quel primo giorno di libertà dopo vent’anni di regime autoritario e repressivo.

«Le bombe non ci fermeranno»: ancora violenza nell’estate 1993. Tra il 27 e il 28 luglio il cuore dell’Italia è colpito da una serie di attentati. Prima esplode un’autobomba a Milano, davanti alla Galleria d’arte Moderna e al Padiglione di arte contemporanea, provocando la morte di 5 persone: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, un marocchino che dormiva su una panchina. Poco dopo, due autobombe esplodono a Roma, davanti a San Giovanni in Laterano e alla chiesa di San Giorgio al Velabro: in tutto si contano 22 feriti. Siamo nel pieno della stagione stragista di Cosa nostra, progettata, dopo il maxiprocesso contro la mafia siciliana e la cattura di Totò Riina, per attaccare lo Stato e ottenere in cambio l’eliminazione dei trattamenti penitenziari di rigore. La scia di violenze iniziata l’anno precedente – con l’assassinio dei magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e dei loro agenti di scorta – ha ripreso vigore, infatti, nel maggio ‘93 con l’attentato fallito a Maurizio Costanzo e la strage di via dei Georgofili a Firenze, in cui hanno perso la vita cinque persone. Nel 1994 tutte le indagini sugli attentati verranno affidate alla Procura di Firenze: la Cassazione confermerà, tra le altre condanne, 19 ergastoli per i mandanti e gli esecutori di Cosa nostra. Ancora oggi indagano altre procure per scoprire ulteriori coinvolgimenti. «Nessuno s’illuda, niente fermerà il cambiamento», sono le parole del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro pronunciate il giorno dopo gli attentati, il 29 luglio di trent’anni fa.

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