Accadde oggi

La strage di Capaci e poi Scalfaro nuovo presidente

Annabella De Robertis

«La sfida più atroce» titola «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 24 maggio 1992: l’Italia è sconvolta dalla notizia della strage di Capaci, avvenuta il giorno prima, in cui hanno perso la vita i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e i tre poliziotti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo

«La sfida più atroce» titola «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 24 maggio 1992: l’Italia è sconvolta dalla notizia della strage di Capaci, avvenuta il giorno prima, in cui hanno perso la vita i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e i tre poliziotti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. In prima pagina, oltre alla foto del giudice simbolo della lotta alla mafia, anche uno scatto del luogo della carneficina sull’autostrada Trapani-Palermo. «Il dolore, la vergogna» è il titolo dell’editoriale di Pietro Marino, che riporta le prime reazioni dei leader di partito. Ma, si chiede il giornalista, «i politici hanno finalmente capito che così non si può andare avanti? Può darsi (ma non ci giuriamo) che il Parlamento dia subito la prima risposta al nuovo violentissimo attacco criminale ponendo fine all’indecoroso spettacolo di rissosa impotenza che sta offrendo alla gente: oggi stesso – si mormora – potrebbe essere eletto il Capo dello Stato».

In quei giorni, infatti, si sta consumando «il gioco al massacro», così definito da Bettino Craxi, per eleggere il successore di Francesco Cossiga. «Perché proprio ora?», si domanda Marino. «Il coinvolgimento della moglie richiama alla mente l’uccisione del generale Dalla Chiesa con la sua sposa. La spaventosa potenza dell’esplosione somiglia alle stragi dei treni, dalla stazione di Bologna all’Italicus. La fine dei tre agenti, ancora una volta eroi anonimi e umili del servizio allo Stato, ripropone quello dello scorta di Aldo Moro in via Fani». Gli agenti, appunto: «tre vite spazzate, cancellate dalla violenza omicida della Piovra. Erano tre ragazzi venuti dal Sud, entrati a far parte della scorta di Giovanni Falcone da diversi anni». Sfogliando le pagine del quotidiano si avverte la complessità del momento: oltre alla terribile strage, grande spazio è dedicato alle dimissioni irrevocabili del segretario della Dc Forlani, allo sviluppo dell’inchiesta “Mani pulite”, condotta dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro, al conflitto in Bosnia Erzegovina.

Anche in Puglia, però, è in corso una durissima lotta alla criminalità: significativa è l’intervista di Dionisio Ciccarese all’arcivescovo di Bari, mons. Magrassi, sull’emergenza “malavita” nella città vecchia. In quei giorni il priore di San Nicola, Salvatore Manna, minaccia di chiudere la Basilica se non si pone un argine al problema: le forze dell’ordine sono scese in campo, infatti, ma i membri dei clan hanno reagito sparando a quattro poliziotti di guardia alla Basilica. «Una settimana di fuoco che ha riportato alla ribalta il difficile rapporto tra Bari Vecchia e la criminalità», si legge sulla «Gazzetta». «Proprio durante la festa dei baresi, la sagra di San Nicola, i “topini” hanno dato il meglio in fatto di scippi e borseggi ai danni di turisti e pellegrini. Anche all’interno della Basilica i devoti non sono stati lasciati in pace». «Occorre una collaborazione più larga di tutti. Bisogna vincere l’omertà ed avere il coraggio della collaborazione. [...] ​​Bisogna che i soggetti educativi sviluppino un’azione convergente. Nel caso concreto sono tre: la famiglia, la scuola e la Chiesa», afferma Mons. Magrassi. «È l’ora del coraggio», conclude l’arcivescovo di Bari e Bitonto, in carica da quindici anni.

Due giorni dopo, il 26 maggio 1992, arriva la notizia che si aspettava da giorni: contrariamente ai pronostici, che davano per favorito il repubblicano Giovanni Spadolini, il nuovo presidente della Repubblica è Oscar Luigi Scalfaro. Il democristiano è stato eletto con 672 voti al sedicesimo scrutinio. Il giorno prima, però, a Palermo si è reso l’estremo saluto alle vittime di Capaci nella basilica di San Domenico. In prima pagina sul quotidiano compaiono la foto di Rosaria Costa, vedova venticinquenne di Vito Schifano, e le sue strazianti parole che ancora oggi, trentuno anni dopo, pesano come macigni: «Uomini della mafia, che siete anche qui dentro, io vi perdono. Ma se avete il coraggio di cambiare, dovete mettervi in ginocchio». Le lacrime la soffocano, scrive il cronista Lello Parise, con le mani si copre il viso sottile incorniciato dai lunghi capelli neri. La voce è un soffio: «Ma loro non cambiano…».

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