Il punto

Concessioni turistiche su demanio marittimo: normativa interna o legislazione europea? Decide la plenaria

avv. Giuseppe Delle Foglie*

«Siamo stati profeti “a metà” perché il nodo venutosi a creare, come spesso accade nell’assordante silenzio del legislatore, verrà sciolto dal massimo organo della Giustizia amministrativa»

Poche settimane fa, su questa rubrica, veniva pubblicato un intervento in tema di concessioni turistico-ricreative sul demanio marittimo (“Proroga concessioni demaniali marittime e principi europei: nodi difficili da sciogliere”) ove si riferiva, in particolare, del vivace “dibattito” giurisprudenziale che aveva portato in dote orientamenti contrastanti in ordine alla proroga delle dette concessioni al 2033 sulla scorta di quanto indicato nella legge n. 145/2018.

Alcuni Tribunali Amministrativi Regionali (tra gli altri, Toscana e Sicilia), infatti, avevano concluso per l’illegittimità della proroga automatica, come disposta dal legislatore italiano, ritenendo prevalenti i principi euro-unionali derivanti dalla c.d. “Direttiva Bolkestein” che, come si è avuto modo di dire, consente il rilascio delle concessioni sul demanio marittimo “solo per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica nonchè basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”. Viceversa, il Tar Lecce si era attestato sulla prevalenza della norma interna (e, quindi, della proroga al 2033) rispetto a quella europea, non potendo la Direttiva avere effetti auto-esecutivi nel nostro ordinamento.

La diversa interpretazione giurisprudenziale, in un comparto delicato per i sottesi profili di natura pubblicistica e non solo, oltre ad essere foriera di incertezza avrebbe potuto creare un sicuro discrimine, a seconda del “territorio” geografico di riferimento, tra gli operatori del settore e i funzionari preposti al rilascio dei titoli abilitativi sul demanio marittimo per scopi turistico-ricreativi.

Nelle conclusioni dell’intervento già pubblicato, quindi, si auspicava, specie in un periodo in cui la pandemia ha “accelerato” molti processi in materia di semplificazione amministrativa e stante soprattutto l’esistenza di pronunce giurisdizionali di diverso orientamento, una decisa risoluzione da parte del legislatore tale da appianare una disciplina di sicuro impatto sul tessuto giuridico ma anche socio-economico del nostro paese.

Siamo stati profeti “a metà” perché il nodo venutosi a creare, come spesso accade nell’assordante silenzio del legislatore, verrà sciolto dal massimo organo della Giustizia amministrativa.

Con Decreto n. 160 del 24 maggio 2021, infatti, il Presidente del Consiglio di Stato, preso atto del contrasto esistente nella disciplina afferente la proroga delle concessioni turistico-ricreative sul demanio marittimo e rilevata la pendenza di due appelli (uno avanti la Quinta Sezione dello Stesso Consiglio di Stato e l’altro avanti il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana) concernenti “…anche il tema dell’applicazione dell’art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018…” (oltre che quello dell’art. 182, co. 2, d.l. n. 34/2020), ha disposto il deferimento della vicenda all’esame della Adunanza Plenaria.

I quesiti individuati e sottoposti al “Plenum” della Giustizia amministrativa sono tre:

«1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali (art. 1, comma 683, l. n. 145 del 2018) o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l'apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l'obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell'Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l'attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all'accertamento dell'efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva;

«2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l'amministrazione dello Stato membro sia tenuta all'annullamento d'ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell'Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell'art. 21-octies, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all'annullamento d'ufficio;

«3) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall'art. 182, comma 2, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, qualora la predetta moratoria non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell'Unione europea, debbano intendersi quali “aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell'entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell'art. 1, commi 682 e seguenti, l. 30 dicembre 2018, n. 145».

La pronuncia della Plenaria senza alcun dubbio sarà dirimente e involgerà non solo gli aspetti strettamente “legislativi” della vicenda ma anche quelli “organizzativi” della macchina burocratica, soprattutto nel caso in cui si decida in “favore” della prevalenza dei principi di derivazione euro-unionali sulla normativa interna.

Il legislatore, ancora una volta, ha perso l’occasione di “decidere” rinunciando, a sommesso parere di chi scrive, anche alla disamina di profili probabilmente preclusi al Giudice e tesi ad un maggiore contemperamento di tutti i (precari) equilibri ed interessi in gioco.

*AGAMM

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