la tragedia
A Milano le esequie della 71enne di Ruvo investita: «Cecilia vittima della società non dei bambini»
Così l'omelia durante i funerali di Cecilia De Astis, pensionata di Ruvo residente nel capoluogo lombardo, uccisa da un’auto rubata nel sud di Milano guidata da ragazzini
MILANO - I nemici, come insegna Gesù, non sono le persone, anche «se imprigionate dal male». A maggior ragione se si tratta di bambini «ai quali è stata negata l'infanzia». Don Davide Bertocchi ha scelto di usare queste parole durante l’omelia per i funerali di Cecilia De Astis, la 71enne originaria di Ruvo uccisa da un’auto rubata nel sud di Milano e guidata da ragazzini. E ha invitato a pregare per loro, nella speranza che "finalmente trovino qualcuno che sappia insegnargli l’amore che vince il male».
Nonostante il caldo afoso, erano circa 200 le persone che hanno salutato per l’ultima volta Cecilia nella Chiesa di San Barnaba al Gratosoglio. Sulla bara, scortata dai figli Filippo e Gaetano e dalle sorelle, un cuscino di rose bianche e gialle e gerbere magenta. «Mai avremmo pensato a un addio come questo. Non è una morte casuale e poteva benissimo essere evitata» ha detto arrivando sul sagrato il figlio Filippo Di Terlizzi, aggiungendo che, comunque, quelli che hanno investito sua mamma "sono dei bambini, non avevano neanche 14 anni» e che quindi "non possiamo mettere sulle loro spalle tutta la responsabilità».
Certo però, ha aggiunto il fratello Gaetano, «a dodici anni un minimo di coscienza la devi avere. Devi sapere cosa è giusto e sbagliato, cosa è male e cosa è bene. Posso capire che sono bambini, però dietro ai bambini c'è sempre la famiglia».
«Dolore misto a rabbia» è quanto sente Lina, una delle sorelle di Cecilia, per «il fallimento del sistema della società di cui sei stata vittima». A fare le conclusioni della messa ci ha pensato il parroco della comunità pastorale del Gratosoglio don Paolo Steffano citando due volte anche il cantante Fabrizio De André: «C'è speranza. E dove non la vediamo andiamo a cercarla. Certo, un po’ di indignazione ce l’abbiamo tutti e non può non esserci. Ma non serve la rabbia. Sicuramente non servono i discorsi, i proclami, né tantomeno lo scarico di responsabilità - ha concluso -. Non servono neppure i documenti sulle periferie o le encicliche sulla convivenza pacifica. Servono fatti concreti».