L'intervista

Da crisalide a farfalla, così ho imparato a volare

maristella massari

Maria Teresa Alfonso, l’essenza di una donna in una storia che parla di amore e libertà

Diventare moglie a 15 anni e madre a 16 e riprendersi a morsi il proprio posto nel mondo percorrendo la vita a ritroso un po’ come Benjamin Button, il personaggio interpretato da Brad Pitt nel film tratto da un racconto di Francis Scott Fitzgerald. Button nasce vecchio e poi ringiovanisce, invertendo il processo di crescita che accomuna tutti gli esseri viventi. Maria Teresa Alfonso, moglie, madre, poi insegnante, preside, sindaca e infine donna libera passando dal tradimento - o del disamore come a lei piace definirlo - alla rottura del matrimonio. Oggi Maria Teresa è farfalla, dopo un lungo cammino nel bozzolo di crisalide. La sua vita sembra un romanzo partorito da un autore russo del secolo scorso. Un’eroina suo malgrado tormentata e indomabile. Resiliente, per usare un termine abusato forse troppo. Ma non è una storia di riscatto la sua, ma un cammino consapevole di amore, passione, impegno, sacrificio, tenacia e di rispetto assoluto della propria essenza di donna.
Lei diventa moglie e madre in tenerissima età, bruciando le tappe della sua adolescenza. Conosce suo marito e lo sposa a 15 anni.

«È andata proprio così. Passare dalla leggerezza di adolescente coccolata, alla responsabilità di donna prima come moglie e poi come madre, può fare vacillare. Ma l’amore è la bellezza che ti porta ad affrontare ogni ostacolo».
Lei aveva sogni concreti che l’hanno aiutata a consolidare la sua figura di donna e professionista.
«Dopo la nascita del mio primo figlio, faticosamente mi sono ripresa la mia vita. Ho ricominciato a studiare e mi sono diplomata all’ex Magi strale e ho cominciato a insegnare. Sono stati anni difficili, tanti i sacrifici».

Ma poi ci ha preso gusto...

«Si, mi sono detta che sarebbe stato un peccato fermarsi lì e così ho proseguito. Con delle colleghe ci siamo iscritte a Lecce all’università e abbiamo ripreso i libri in mano. Ci siamo laureate diventando l’una la forza dell’altra. Il concorso a dirigente è arrivato dopo».

Però la vita a un certo punto le ha presentato un conto salatissimo...
«Ho scoperto che vivevo nel disamore. Niente di straordinario, un classico come accade a tante donne. Mi è crollato il mondo addosso. Ed ero ancora molto giovane. Ho lottato per riavere il mio amore per molti anni, ma invano. All’improvviso sono arrivati i 50 anni. Avevo la mia immagine pubblica, ero sindaco del mio paese. Ho raccolto le forze e sono andata avanti. Sono anche diventa dirigente scolastico».

Come si passa in mezzo ad una tempesta del genere?
«Devi lavorare molto su te stessa. E trovare un antidoto. Il mio farmaco è stata la scrittura. L’ho trovata salvifica. Quando l’amore ti abbandona, la vita inizia ad essere più dura e tu stessa diventi quasi sterile. Per continuare a sentirti donna, quindi liberarti dal dolore, per scacciare la malinconia, che ormai aveva cucito su di te il suo abito, inizi a scrivere. Io l’ho fatto e non mi sono più fermata. Le emozioni diventavano parole e da loro traevo forza».

Da cosa prende ispirazione?

«Dagli stati d’animo. Sia chiaro, ogni momento è buono per iniziare una attività come quella della scrittura, ma ci sono fasi della vita che forse sono più indicate di altre. Il motivo è semplice: ci sono eventi che ci impongono di tirare una linea, chiudere una esperienza, guardarci allo specchio e cogliere la verità dell’immagine che rimanda. Pensando alla tua vita, a chi sei, al momento che stai vivendo, la scrittura può farti rendere conto di quanto sia vitale finire un percorso e aprire le porte ad un nuovo mondo. Con me lo ha fatto».

Da crisalide a farfalla?
«Proprio in quel momento, attraverso il dolore, la malinconia, la rabbia, sei qualcuno che sta cambiando, che sta crescendo. E ti avvii a rinascere. Sei una persona che nel giro di pochi mesi sarà immersa in una realtà finora sconosciuta: è accaduto per i miei 50 anni. Ma c’è un momento esatto in cui ti rendi conto che sta succedendo. Capisci che stai navigando intorno alla boa e riprendi fiato. Io lì, intorno a quella boa mi sono guardata dentro, dopo anni di disamore e ho trovato la forza: volevo essere libera».

Ma libera da cosa?
«Libera di disporre di me stessa. Scrivere di se stessi e quindi raccontarsi non è sempre cosa facile, indagare sul tuo passato, iniziare a scrivere un testo autobiografico, a cui affidare ciò che si è o ciò che si è stati, facendo un po’ i conti con il pro- prio passato diventa un lavoro difficile. Ho immaginato un personaggio, Crisalide appunto».
Quando Crisalide si rende conto di perdere l’amore, un amore unico considerato eterno, un amore divenuto disamore, inizia a scrivere di libertà?

«Crisalide è una donna, come ce ne sono tante, che attraverso quelle parole, messe nero su bianco, riesce a tirar fuori la sua sofferenza e attraverso se stessa ad andare oltre, solo con la sua penna e il suo foglio. Il primo impatto è stato quello di darmi uno pseudonimo. Mi sentivo stretta in una gabbia, con il bisogno comunque di uscire fuori da quell’involucro per essere libera e quindi per diventare farfalla».

Come supera il trauma del tradimento?
«Ci si allontana pian piano dal disamore, dalla sofferenza dell’amore perduto. Si prendono le distanze, ci vuole tempo per iniziare a concentrarsi su altri temi, come quelli della gioia, della speranza anche di un amore nuovo. La scrittura mi ha fatta rinascere, come una farfalla che esce dal suo bozzolo. Crisalide riassume la condizione di una donna che, pur sentendosi talvolta intrappolata, sa che sta per spiccare il volo verso una nuova vita, verso una libertà che passa attraverso le sue parole».

Maria Teresa, oggi, che donna è?
«È madre, nonna felice, è una donna che continua a scrivere per il piacere di esprimersi e per il desiderio di condividere la sua visione del mondo con altre donne e con altre anime sensibili. La mia è una scrittura che non si ferma mai, una scrittura che è amore e libertà, una scrittura che è farfalla. Io oggi sono farfalla».

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