L'intervista
«Nessun capo dei capi dopo Messina Denaro», parla Giovanni Impastato
«La mafia ha cambiato completamente pelle», spiegata alla «Gazzetta» la metamorfosi imprenditoriale di Cosa Nostra
«Non credo che Matteo Messina Denaro sia l’ultimo grande boss di Cosa Nostra, ma credo che sia stato l’ultimo alla guida di una mafia che non vedremo più perché è ormai profondamente cambiata».
Giovanni Impastato, fratello del giornalista siciliano Peppino ucciso il 9 maggio 1978 a Cinisi, lei crede che non ci sarà più un capo dei capi?
«No, io credo che la mafia ormai non si identifichi più in un solo leader, ma è rappresentata da una stratificazione sociale che chiamiamo borghesia mafiosa. Lo stesso Messina Denaro era un innovatore, però era comunque il capo assoluto: io credo che oggi sia ormai articolata in maniera diversa».
Non ci sarà più una cupola?
«Sembra che lui abbia lasciato vuoto, ma oggi rimane la composizione a cupola, visto che la mafia a differenza di Camorra e altre criminalità organizzate, mantiene la sua storia fatta di mandamenti e rappresentanze, ma i nuovi componenti della cupola sono ormai le stesse persone che gestiscono il potere economico».
Anche gli interessi e gli appetiti della mafia sono cambiati?
«Cosa Nostra ha spostato determinati interessi concentrandosi di più su denaro pubblico, appalti, racket e sul sistema che certamente non ha abbandonato il core business della droga, ma è diventata imprenditrice. Ecco credo che sia corretto definirla una mafia finanziaria perché ha saputo fare un grande salto di qualità anche grazie alla capacità alle competenza e certamente anche al carisma di Messina Denaro».
A che punto siamo con la lotta a questa nuova mafia?
«Nel resto d’Italia si sono fatti importanti passi avanti da un punto di vista istituzionale e giudiziario, non c’è ombra di dubbio. Le Leggi che sono state approvate diversi anni fa pian piano hanno saputo offrire risultati importanti: penso a leggi come il riconoscimento del reato di associazione mafiosa approvata dopo delitti eccellenti come quello del generale Dalla Chiesa, ma non solo. Il 41 bis e altre norme varate nel tempo dallo Stato, va riconosciuto, hanno permesso di fare importanti passi avanti, però il punto è che non abbiamo risolto il problema».
Abbiamo ancora a che fare l’Antistato?
«No, guardi su questo direi proprio di no. La mafia è entrata nel cuore dello Stato, si è infiltrata nella realizzazione delle grandi opere pubbliche e quindi non possiamo più parlare di Antistato».
Crede che sia proprio questo il grande segreto che Messina Denaro si è portato nella tomba?
«Non lo so quale sia davvero, ma penso che riguardi il rapporto con il sistema imprenditoriale e politico: lui ha avuto coperture a livello istituzionale, su questo non ci sono dubbi. È stato coperto ad alti livelli: non si può essere latitanti per 30 anni nel modo in cui lui lo è stato lui senza delle connivenze, delle collusioni che gli hanno permesso di vivere questa latitanza. Non c’è stato solo il medico che preparava i certificati per il ricovero oppure chi gli forniva identità fasulle o la maestrina, il barista: intorno a lui non c’è stato solo questo alone di omertà, lui ha ottenuto garanzie anche ad alti livelli proprio perché aveva ottimi rapporti con il sistema imprenditoriale».
Per questo ritiene che non ci sarà un successore che possa ricoprire un ruolo come quello che hanno avuto i corleonesi prima e Messina Denaro dopo?
«Guardi come le dicevo poco fa, io penso che sia proprio una nuova strategia. Come nel passaggio da Riina a Provenzano, la mafia ha scelto di passare dalle bombe all’immersione silenziosa, così ora la mafia ha compreso che non bisogna più identificarsi con un'unica persona. Certo non sarà mai la Camorra, manterrà ancora le sue strutture tradizionali, ma oggettivamente non c’è nessuno al momento che possa davvero accettare l’eredità di Matteo Messina Denaro. Magari la storia mi smentirà, ma al momento ritengo che la mafia sia entrata in una nuova fase della sua storia».