Una vittima ogni tre giorni: i femminicidi sono già da tempo una terribile costante delle nostre cronache. Mogli, compagne, madri di ogni età, ben 85 dall'inizio dell'anno, «cadute» sotto i colpi di una guerra silenziosa, struggente, angosciante. Notizie, parole e commenti si susseguono, dandoci però l’impressione che tutto serva a poco. Un caso dopo l’altro, senza distinzioni di classi sociali, città, paesi. E poi violenze e maltrattamenti: oltre 20mila quelli denunciati, ma si sa che sono tanti i casi vissuti silenziosamente nella sofferenza individuale. Nonostante i riflettori accesi, stiamo sottovalutando il fenomeno.
«È una strage, ora basta, dobbiamo fare di più e meglio», ha detto l’altro giorno la presidente del Consiglio regionale pugliese, Loredana Capone durante la Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative. E, da Strasburgo, il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, ha espresso «preoccupazione» per i dati dell'Italia, che «riflettono una percentuale costantemente elevata di procedimenti relativi alla violenza domestica e sessuale interrotti nella fase istruttoria, un uso limitato di ordinanze cautelari e un tasso significativo di violazione della stessa».
Reazioni forti, non solo sull'emergenza dei numeri di delitti, ma anche dal punto di vista di mancate soluzioni. Perché una cosa denunciata dagli operatori e dalle associazioni è appunto questa: c'è carenza di soluzioni per le donne che arrivano dolorosamente a fare il primo passo contro la violenza di genere. Chi denuncia, spesso si pente o si trova in gravi difficoltà. Il risultato è la normalizzazione della violenza.
Lo spiega chiaramente da Bari l'avv. Krizia Colaianni, che ogni giorno osserva sul campo ciò che accade quando una donna decide di reagire e di denunciare una violenza, un abuso o qualche episodio di maltrattamento familiare. «Sapete qual è la risposta classica che riceve una donna quando denuncia di aver “ricevuto uno schiaffo dal marito?”, ecco le rispondono anzitutto “vai a casa e fai pace”». Krizia Colaianni, che con la sua associazione «La forza delle donne» si trova ad agire in tante situazioni di bisogno in Puglia, è un fiume in piena: «C'è una sottovalutazione della violenza di genere».
Sottovalutare la prima denuncia significa cancellare la prevenzione di fenomeni che possono diventare più gravi. Ma perché accade?
«Io riscontro che spesso chi denuncia non riceve la giusta assistenza. Serve empatia e accoglienza per rendere un vero aiuto alle donne vittime di violenza: a volte un episodio, due o tre eventi di maltrattamento sembrano poca cosa. E invece chi va a denunciare per la prima volta subisce da chissà quanto tempo. Servono competenza e accoglienza: se la donna si sente messa in discussione, se le si chiedono date e riscontri che avendo subito un trauma non può ricordare con sicurezza immediatamente, ritira la denuncia. Se le si prospetta un percorso difficoltoso, a maggior ragione sarà portata a rinunciare, a tenersi dentro il malessere, ad andare in confusione e vivere nello spavento».
Come attuate l'ascolto?
«Abbiamo bisogno di evitare la vittimizzazione secondaria. Dobbiamo essere vicini a chi denuncia, comprendendo che già solo questo atto è un'enorme sofferenza, un trauma sul trauma. Abbiamo proposto uno sportello di ascolto in ogni Municipio e devo dire che ci sono tante esperienze sul territorio ma che a Bari molti sportelli già esistenti non stanno funzionando dopo che si è chiusa l'emergenza Covid. Noi come associazione stiamo compiendo passi per farci sentire al fianco di queste persone bisognose di assistenza: abbiamo un canale virtuale aperto 24 ore su 24, tutti volontari che ricevono segnalazioni sui nostri canali social “La forza delle donne”. Chi ha bisogno, può contattarci su Facebook e Instagram. Il supporto è il primo approccio necessario, poi si rende urgente il resto. Ciò che dice il Consiglio d'Europa e cioè che in Italia troppi casi arrivano all'archiviazione è ciò che denunciamo da tempo: così non si può continuare e l'emergenza è davvero al limite».
Il caso dei minori violenti di Palermo, gli orrori di Caivano... abbiamo anche un'emergenza minori in Puglia e Basilicata?
«Non può essere diverso a seconda delle regioni, purtroppo. Così come abbiamo ovunque le baby gang che spaccano vetrine, anche la violenza dei minori è un fatto terribile. Lì ci sono stati due casi eclatanti di forza mediatica, ma ovunque il problema è l'aggressività e la violenza. Sul web, quasi sembra una regola che l'essere violento faccia “fico”. Come risolvere? Ci sono tante cose da fare, ma nel nostro piccolo potremmo cominciare a diffondere la cultura del rispetto, limitando l'aggressività, il senso dell'omertà. Anche sulle cose più banali, anche nei piccoli episodi quotidiani. Stiamo cominciando un lavoro nelle scuole che partirà il 28 a Bari dal quartiere San Paolo e in questa occasione abbiamo voluto la presenza dei genitori. Insieme, possiamo fare molto di più».