Salute
Payback sui dispositivi medici: i pagamenti slittano a ottobre
Per le aziende resta comunque il salasso di un miliardo di euro da saldare per ripianare lo sforamento del tetto di spesa 2015-2018
Una boccata di ossigeno per le aziende che operano nel settore dei dispositivi biomedicali.
È stato infatti prorogato dal prossimo 31 luglio al successivo 30 ottobre il termine per il versamento degli importi (in totale circa un miliardo di euro) dovuti a titolo di payback dalle imprese fornitrici di dispositivi medici al Servizio sanitario nazionale. È quanto previsto da una misura inserita nel Decreto legge contro il caldo approvato dal Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi e che, nelle prossime ore, sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
Ma non basta: la vera partita, chiariscono gli imprenditori, ruota attorno all’abolizione del vessatorio meccanismo che obbliga le loro imprese a rimborsare le aziende sanitarie in caso di sforamento del budget per l’acquisto dei dispositivi (dalle risonanze magnetiche alle protesi, dalle siringhe ai camici).
La norma del Payback, ricordiamo, nasce nel 2011, con il decreto legge 98/2011 (convertito nella legge 111/2011) che all’articolo 17 stabilisce che la spesa dei dispositivi medici sostenuta dal Servizio sanitario nazionale dovesse essere fissata entro tetti stabiliti dai decreti ministeriali di anno in anno ovvero fissato al 4,4%. La stessa norma stabilisce che in caso di sforamento dei tetti stabiliti, gli eventuali ripiani avrebbero dovuto essere a carico delle Regioni che avessero concorso allo sforamento. Solo successivamente, l’articolo 9-ter del decreto 78/2015 (convertito nella legge 125/2015), con il governo Renzi, in ottemperanza a quanto richiesto dall’Europa, previde che una parte dello sforamento del tetto per l’acquisto dei dispositivi medici venisse posto a carico delle aziende fornitrici, introducendo così il cosiddetto payback.
Con il Decreto aiuti bis, presentato dal governo Draghi, la norma viene ripescata prevedendo che qualora le Regioni avessero sforato il tetto di spesa per l'acquisto dei dispositivi medici, le aziende fornitrici avrebbero dovuto risponderne fino al 50% di quanto incassato dalle gare di appalto. Ma lo sforamento non è prodotto dalle aziende, che partecipano a regolari gare di appalto, bensì dalle stesse Regioni che superano il tetto di spesa che è fissato al 4.4%, ma che è insufficiente a garantire i Livelli essenziali di assistenza (Lea).
La norma sul payback, ovviamente, è stata osteggiata da tutte le imprese fornitrici e da novembre 2022 è al centro del dibattito parlamentare e delle decisioni del governo Meloni, insediatosi a fine ottobre. Da gennaio 2023 il Governo ed il Parlamento sono intervenuti con provvedimenti mirati ben cinque volte risolvendo però a metà la criticità del payback.
Le imprese, è pur vero, per tutelarsi hanno intrapreso una serie di azioni legali. In Puglia, lo Studio Dentamaro del foro di Bari, che difende una cinquantina di imprese che aderiscono all’Aforp (Associazione fornitori ospedalieri di Puglia e Basilicata) è impegnato in una strenua battaglia legale sin da quando sono stati chiesti alle imprese i pagamenti non dovuti del payback per il superamento del tetto di spesa, operato però dalle singole regioni. Tutte le istanze cautelari proposte dall’avv. Nicola Dentamaro sono accolte in via monocratica dal Tar Lazio che ha confermato tutte le domande cautelari in via definitiva, fissando la trattazione nel merito al prossimo 24 ottobre.
Pare che alla Regione Puglia, dalle imprese fornitrici che operano sul territorio nazionale, siano arrivate oltre 300 istanze cautelari accolte dal Tar Lazio. Fino a questo momento, pertanto, tutti i pagamenti nei confronti delle Regioni sono sospesi, nonché è inibita la possibilità di operare le compensazioni con i crediti vantati dalle Aziende per le gare in corso.
In Italia i ricorsi pendenti al Tar Lazio sono circa 1800 e decine di imprese pugliesi hanno sollevato opposizione nei confronti dei provvedimenti ministeriali e regionali.