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«Autonomia? La bozza Calderoli è inaccettabile», parla Pagliaro

 
Alessandra Colucci

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Alessandra Colucci

«Autonomia? La bozza Calderoli è inaccettabile», parla Pagliaro

«Quel testo non è solo da emendare ma da riscrivere di sana pianta, perché sancisce la spaccatura definitiva tra Nord e Sud del Paese»

Sabato 26 Novembre 2022, 13:40

L’autonomia differenziata come risorsa o come ulteriore penalizzazione per le Regioni più fragili? Il consigliere regionale Paolo Pagliaro, presidente del gruppo de La Puglia domani non ha dubbi: «La risposta è il neo regionalismo».

Presidente, come giudica la bozza di riforma presentata dal ministro Calderoli sull’autonomia differenziata?

«La riforma così com’è stata disegnata nella bozza Calderoli, è inaccettabile. Quel testo non è solo da emendare ma da riscrivere di sana pianta, perché sancisce la spaccatura definitiva tra Nord e Sud del Paese. Il cuore del problema sono i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni: istruzione, sanità, previdenza, assistenza, mobilità, che in ogni angolo d’Italia dovrebbero essere garantiti allo stesso modo e che invece vedono storicamente e fortemente penalizzato il Sud. Se il progetto di autonomia proposto dal Governo dovesse andare in porto, le Regioni ricche lo diventerebbero ancora di più, a scapito di quelle del Sud condannate ad una povertà e marginalità sempre maggiore».

Il vero problema dunque sono le risorse: come si esce da questo divario Nord-Sud?

«Basterebbe applicare il federalismo fiscale funzionale, secondo cui il grosso dei tributi si paga dove si produce reddito e non dove si detiene la ragione sociale. A trarne vantaggio sarebbe soprattutto il Mezzogiorno, dove si insediano colossi industriali come Ilva ed Enel, grandi imprese turistiche, centri commerciali, multinazionali e gruppi bancari che ne traggono enormi profitti, ma la ricchezza prodotta finisce altrove».

Ci sono ambiti che potrebbero determinare una maggiore discriminazione tra le Regioni italiane?

«In materia di personale sanitario e scolastico, qualora venisse attuato il modello di autonomia differenziata targato Calderoli, il Paese si dilanierebbe. Perché se si consentisse alle Regioni più ricche di integrare i contratti nazionali con propri contratti regionali, si produrrebbe una emorragia di medici e insegnanti verso il Nord, allettati da condizioni retributive e garanzie occupazionali più vantaggiose».

Potrebbe esserci un’altra strada da percorrere per evitare il rischio?

«Con le attuali Regioni cosi diverse (Lombardia con 10 milioni di abitanti rispetto a Molise con 290mila o Valle D’Aosta con 123mila) è molto difficile parlare di federalismo e di autonomia in equilibrio per tutti. La soluzione potrebbe essere la proposta di legge sul neo regionalismo che elaborai con la Società Geografica Italiana nel 2013 e che fu sottoscritta dall’attuale premier Giorgia Meloni, condivisa da esponenti politici bipartisan e presentata in Parlamento. Prevede 31 Regioni di dimensioni ottimali, tutte uguali, con la giusta vivacità economica prevista dalla Costituzione e ciascuna con la propria identità storica e culturale. Questo nuovo mosaico regionale sarebbe articolato non più su quattro livelli ma su tre: Governo centrale, Comuni e 31 Regioni, senza più le Province fantoccio e le Città metropolitane (ex Province) asso pigliatutto. Il nostro disegno neo regionalista limita inoltre l’autonomia legislativa delle Regioni ma ne rafforza l’azione amministrativa, che si traduce in maggiore e migliore capacità gestionale. Questo consentirebbe uno snellimento amministrativo e burocratico da cui deriverebbero risparmi in termini di spending review e benefici tangibili per la qualità di vita dei cittadini, da Sud a Nord».

Esiste un modello virtuoso di autonomia differenziata a cui ispirarsi?

«Certo, e non bisogna andare lontano: è quello della Federazione Elvetica, teorizzato da Carlo Cattaneo: un sistema politico capace di un bilanciamento esemplare tra la centralizzazione di alcuni poteri e la gestione autonoma dei suoi 26 cantoni».

Quale potrà essere, in futuro, il rapporto tra Stato e Regioni?

«Credo che l’autonomia differenziata non debba prescindere da un patto leale con lo Stato, che riconosca il valore delle autonomie locali come strumento e non come impedimento per lo sviluppo. Va recuperato il rilievo democratico del contrappeso tra poteri dello Stato e dei territori, che i padri costituenti esplicitarono nell’articolo 5, come antidoto alla centralizzazione e monopolizzazione del potere. Non a caso le Regioni diventano gli attori della politica di modernizzazione del Paese che il Governo Moro immagina con la programmazione economica del 1963, per riuscire a superare il divario Nord-Sud. Divario che invece non è mai stato colmato».

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