Mezzogiorno di focus
Ristrutturazioni con il trucco: in Puglia è boom di truffe
Piovono denunce per le imprese edili che prendono i soldi e poi spariscono
BARI - Il fenomeno sotterraneo è sempre esistito, ma ormai - dicono alcuni segnali raccolti tra gli addetti ai lavori - quella che si sta verificando è una vera e propria epidemia: imprese edili che stipulano contratti per la ristrutturazione di condomini o appartamenti, incassano gli anticipi o addirittura i saldi e poi spariscono nel nulla. È probabilmente un secondo effetto delle distorsioni create dai bonus introdotti dal governo Conte: una esplosione della domanda di lavori a cui il tessuto imprenditoriale non riesce a rispondere. E così il mercato viene drogato dalla nascita di operatori improvvisati, non sempre affidabili.
Nei primi mesi del 2022 solo nel circondario di Bari sono state depositate «centinaia» di denunce relative a truffe in materia di lavori edili: «Ormai siamo arrivati a vederne anche cinque al giorno», spiega chi se ne occupa. Il cliche è sempre lo stesso: c’è un accordo per l’esecuzione di opere edili, c’è una previsione di tempi, c’è un anticipo giustificato con la necessità di approvvigionarsi dei materiali. Ma poi le cose non vanno come dovrebbero, e il committente si ritrova beffato.
In Puglia (dati Unioncamere) a fine 2021 c’erano 40.431 imprese edili registrate alle Camere di commercio, di cui 15.151 solo nel Barese. In 12 mesi l’incremento complessivo è stato del 3,4%, ma ad esempio nel Tarantino si è verificato un aumento ancora maggiore (4.807 imprese attive, il 4,9% in più rispetto al 2020 e addirittura l’8,1% rispetto al 2019).
Una dinamica che senz’altro risponde alla domanda creata dal meccanismo dei bonus (a partire dall’ormai noto 110%), ma in cui potrebbe essersi infilato anche altro. L’allarme è stato lanciato a febbraio dal presidente di Ance Bari-Bat, Beppe Fragasso, in un incontro con i prefetti delle due province: «L’ingresso nel mercato di imprese non qualificate sta mettendo a rischio la ripresa sana del settore anche nel nostro territorio, con riflessi negativi sulla sicurezza sul lavoro e sul costo dei materiali».
L’associazione degli edili aveva segnalato che negli ultimi sei mesi del 2021 erano spuntate 350 nuove imprese edili, «molte delle quali provenienti da settori non appartenenti a quello delle costruzioni e con ogni probabilità non adeguatamente qualificate», e ribadendo la richiesta al governo di una patente di qualificazione per distinguere le imprese che lavorano nell’edilizia privata, «anche a tutela delle aziende regolari». Il rischio, dal punto di vista economico, è che si generi «concorrenza sleale in un mercato già in grave difficoltà per la carenza di materiali e manodopera». Ma c’è pure la necessità di tutelare il consumatore.
I campanelli di allarme sono molti. Uno, quello denunciato dall’Ance, è l’improvviso cambio di ragione sociale. Ditte individuali aperte per operare nel settore del commercio che improvvisamente si riciclano nel mondo dell’edilizia, dal momento che per lavorare con il privato generico non servono particolari requisiti. Ma non solo. Ci sono anche le nuove iniziative imprenditoriali che risultano intestate a stranieri, a studenti, o comunque a persone che risultano nullatenenti: strategie che potrebbero servire ad evitare conseguenze legali, o comunque potrebbero nascondere l’intenzione di sparire in breve tempo. «Non mi stupirebbe - spiega alla “Gazzetta” un investigatore che sta approfondendo alcuni di questi casi - se queste imprese tra poco tempo venissero messe in liquidazione».
Il problema non riguarda soltanto il mercato edilizio in sé, ma crea - così come diverse Procure italiane hanno già verificato con i crediti fiscali collegati ai bonus - un doppio danno alle casse pubbliche. Perché oltre ad accumulare crediti di imposta falsi, una impresa improvvisata può facilmente trasformarsi in una «cartiera» che emette fatture senza pensarci troppo, salvo poi non versare l’Iva o non pagare i contributi per i lavoratori assunti. E così l’Erario paga due volte: per i crediti fiscali fasulli generati da lavori non fatti, e per i mancati introiti di imposte e contributi. «Non sono pochi - dice l’investigatore - i casi di operatori di settore consolidati, generalmente piccoli, che hanno aperto imprese intestandole a propri dipendenti, con l’obiettivo di fare incetta di lavori sul mercato privato». O forse per non «sporcare» il nome con cui operano da più tempo: una sorta di bad company da abbandonare al momento giusto. Ecco perché conviene stare attenti, soprattutto quando le cose non sono molto chiare: affidarsi al passaparola per scegliere la ditta va bene, ma attenzione ad accertarsi che chi si ha davanti e chi poi firma i contratti siano effettivamente la stessa persona.