L'editoriale

L’astensione certifica la distanza della politica dai problemi della gente

Mimmo Mazza

Tre elementi descrivono le Europee: la scarsa affluenza alle urne; l’exploit personale ottenuto da alcuni candidati; il crollo del Movimento 5 stelle e dell’area degli ex (Renzi-Calenda)

Sono essenzialmente tre gli elementi che finora paiono caratterizzare le elezioni europee del 2024: la scarsa affluenza alle urne, scesa sotto la soglia psicologica del 50% degli aventi diritto; l’exploit personale ottenuto da alcuni candidati come il generale Vannacci, il sindaco Decaro, la premier Meloni, il governatore Bonaccini, l’attivista Salis; il crollo del Movimento 5 stelle e dell’area degli ex (Renzi-Calenda).

La mancata partecipazione al voto, specie dei più giovani, costituisce un allarme democratico che non va sottovalutato e non può essere liquidato con la pretesa distanza dell’Europa con i cittadini: sono i partiti e i movimenti politici a non saper più coinvolgere gli elettori, rinchiusi come sono nelle loro stanze di potere, distinti e distanti dalle esigenze reali della gente comune.

C’è a chi, forte delle residue truppe sempre pronte a votare tacendo, tale contesto non dispiace: con meno elettori, bastano meno voti per conquistare posizioni di comando, dunque meglio così. E c’è poi chi raccoglie ora i frutti amari di tanta anti-politica, di tanta propaganda anti-casta rivoltasi alla fine contro chi quella casta è andato a sostituire, dimostrando non solo totale incapacità ma anche spesso assoluta e flagrante incoerenza.

Il grande successo personale di alcuni candidati ha, invece, chiavi di letture differenti. Il generale Vannacci con il suo fare, e soprattutto con il suo dire, politicamente scorretto è diventato punto di riferimento per un pezzo d’Italia ancorato a vecchi schemi e sostanzialmente privo di riferimenti politici. Decaro con le sue 500mila preferenze dimostra che il buon governo paga e che la legge per l’elezione diretta del sindaco sia una delle poche che funzioni. Decaro alle primarie per il Pd sostenne il governatore emiliano Stefano Bonaccini, eletto al parlamento europeo con 389mila preferenze. I gemelli delle preferenze Decaro-Bonaccini insieme costituiscono un binomio dal quale Elly Schlein dovrà guardarsi con attenzione. La premier Meloni con 2 milioni e mezzo di preferenze ottiene un segnale importante di apprezzamento per il lavoro svolto nei quasi due anni a Palazzo Chigi. Dovrà stare attenta a evitare l’effetto europee che tanto caro è costato in passato a Renzi e Salvini. La sua leadership è salda, la coalizione tiene, qualche grattacapo potrebbe giungere a livello europeo quando sarà chiamata a scegliere tra i gruppi di destra e la grande famiglia del Partito popolare europeo.

Il Movimento 5 stelle si ferma ad una manciata di voti dal 10%, ottenendo il peggior risultato degli ultimi dieci anni, pagando lo scotto di una proposta politica contrassegnata dall’amore-odio con il Pd, qui governando con il centrosinistra, lì invece litigando e dividendo quel campo largo che se sarà ricostruito, avrà rapporti di forza decisamente diversi rispetto a ieri e dovrà tener conto dell’affermazione dell’Alleanza Verdi-Sinistra.

Restano fuori da Bruxelles sia gli Stati Uniti d’Europa di Renzi che Azione di Calenda, formazioni fermatesi sotto lo sbarramento del 4%. Con elezioni così polarizzate, dividere l’area di centro si è rivelato un errore gravissimo, figlio di una supponenza che spesso finisce con l’offuscare il ragionamento della politica.

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