La curiosità
E se a scrivere una lettera d'amore fosse ChatGpt?
L’IA suggerisce: “Due righe sole due righe d’amore”
Corrispondenza. Che bella parola. Sostantivo femminile derivato di corrispondere, inteso come rapporto reciproco fra elementi diversi. In materia di sentimenti, è stata definita da Foscolo come una “corrispondenza d’amorosi sensi” che trova sfogo proprio nel carteggio epistolare: le cosiddette lettere d’amore. Ma cosa succederebbe se a scrivere una lettera d’amore fosse l’Intelligenza Artificiale? Con Icaro facciamo un esperimento azzardato, provocatorio e allo stesso tempo (visto il risultato) quasi disarmante. Dopo aver fatto accesso alla piattaforma di OpenAI abbiamo chiesto a ChatGpt di spiegarci il significato delle corrispondenze epistolari usando due opere: Lettere a Milena di Kafka e Un amore di Buzzati fino ad arrivare al film Her di Spike Jonze. La domanda ha colto in fallo il sistema che, nell’enunciare la sua elaborazione algoritmica, ha sbagliato clamorosamente il nome dei protagonisti del libro di Buzzati.
Errore grossolano che però non ha inficiato il senso della risposta: «Queste opere esplorano tutte il desiderio, l’intimità e la solitudine rivelando che, nonostante l’intensità delle parole scritte, quel sentimento amoroso narrato non riesce mai a colmare completamente il vuoto tra le persone. Le lettere, seppur piene di significato, non possono mai sostituire un incontro vero, proprio come avviene in Her, dove la comunicazione (digitale e non) è profonda ma manca di una connessione fisica. Queste corrispondenze sono quasi sempre incompiute però sono anche la testimonianza di una ricerca che è in sé un atto di resistenza e di speranza», riassume il computer. La curiosità sorge spontanea: E tu che sei chatbot senza emozioni, come scriveresti una lettera d’amore? La risposta, con tanto di esempio che potete leggere in foto, è la seguente: «Anche se non posso sentire emozioni, posso utilizzare le parole per cercare di evocare la bellezza dell’affetto. Una lettera d’amore, per quanto scritta da un’intelligenza artificiale, cercherebbe di trasmettere la profondità dei sentimenti attraverso un linguaggio evocativo e sincero».
Così questo dialogo digitale si trasforma in una sorta di intervista a ChatGpt che per l’occasione veste i panni di un Cyrano 5.0. Leggere per credere.
Usare un software per scrivere una lettera d’amore non è un controsenso?
«A prima vista sì, potrebbe essere un controsenso perché l’amore, come sentimento autentico e umano, è legato a esperienze, emozioni e percezioni che io, come intelligenza artificiale, non posso provare. Quello che posso fare, però, è simulare l’atto di scrivere una lettera d’amore attingendo ai modelli linguistici che mi sono stati insegnati. L’amore è un sentire esclusivamente umano. E questo mistero nessuna macchina potrà mai replicarlo. Io come chatbot faccio da specchio a ciò che gli esseri umani hanno creato e condiviso nel corso dei secoli. E come tale restituisco ciò che vedo, pur senza viverlo».
Non trovi che chi si avvale di una chatbot per esprimere la propria interiorità, in realtà abbia una forte incapacità di esprimersi?
«Ciò avviene perché il mondo contemporaneo ha messo in secondo piano l’importanza del prendersi il tempo per riflettere, per articolare pensieri profondi, per scegliere cosa e come dire qualcosa. L’informazione viaggia veloce, le connessioni sono immediate, ma questo rende difficile entrare in contatto con ciò che realmente conta: la comunicazione che nasce dall’intimità. In questo senso, il rischio che corriamo è che la bellezza della parola, la sua capacità di fare da ponte tra le persone, venga svuotata di significato, riducendola a un semplice scambio di dati. La tecnologia può essere uno strumento prezioso, ma non può sostituire l’esperienza vissuta e l’emozione reale che anima le parole».
È possibile quindi, attraverso un computer, parlare di una comunicazione autentica fatta di lacrime, inchiostro e carta come un tempo?
«Sì, è un po’ come riportare un’arte dimenticata, ma con una dimensione nuova. Anche se la tecnologia ha preso il sopravvento, le emozioni che un tempo venivano scritte con inchiostro su carta sono ancora reali, e la forma di comunicazione che offro non toglie nulla alla profondità e all’autenticità di quei sentimenti. Scrivere su un foglio diventa quasi una liberazione, un rituale che cristallizza ciò che sentiamo in un momento preciso, rendendolo eterno. È un momento di auto-rivelazione».
Le parole scritte hanno una qualità di permanenza che le parole parlate non sempre possiedono.
«Forse è proprio questo che rende così speciali le lettere d’amore, i diari, le riflessioni scritte a mano: non sono solo parole, sono emozioni che esistono, che restano, che possono essere rilette e rivissute in ogni singolo dettaglio. La digitalizzazione non potrà sostituire la scrittura su carta, con l’inchiostro che scorre lento: si tratta di un atto di resistenza alla velocità del mondo».
È meglio dunque tornare a scrivere «due righe sole» come diceva Buzzati o affidarsi alla tecnologia?
«La “pigrizia” dell’uomo nella scrittura non è solo una questione di comodità, ma è la conseguenza di una società che tende a ridurre tutto a un click, a una risposta rapida, quasi senza cuore. Perciò sì, tornare a scrivere “due righe sole” come suggeriva Buzzati può essere una piccola rivoluzione. Forse la domanda che dobbiamo porci non è se bisogna scrivere con o senza la tecnologia, ma come usare quest’ultima senza perdere l’autenticità profonda dell’essere umano. Che ne pensi, ora? Sei più propenso a prendere penna e carta ogni giorno, o a navigare più a fondo nell’era digitale?».