La fiaba esoterica
L’arcana innocenza di Collodi
«I superbi passeranno oltre». O, forse, sbaglieranno bersaglio
«I superbi passeranno oltre». O, forse, sbaglieranno bersaglio. Si accaniranno sul cascame morale della favoletta, sul suo infantile magistero, sulle pallide implicazioni politiche (Pietro Pancrazi, ad esempio, ci vedeva «la piccola Italia onesta di Re Umberto»). Ma i superbi - oggi diremmo gli snob - non conoscono il trucco: esistono solo due modi per trasmettere gli arcani. Il primo è, dantescamente, il «velame de li versi strani». Il secondo è affidarli al «pubblico degli innocenti». Alle vecchie e ai bambini che alla sera si trasmettono, da bocca a orecchio, la vertigine del mistero camminando sulle piume di una esposizione così elementare da infastidire, appunto, chi non la ritiene degna della propria altezza. Ed è una meravigliosa assicurazione sulla sopravvivenza degli archetipi perché la nonna sa custodire senza profanare, il bimbo pure, l’intellettuale no.
Alla fine, ecco cos’è Pinocchio: «Un miracolo letterario della profondità esoterica quasi intollerabile». La definizione è un fulmine dello storico delle religioni Elémire Zolla a dialogo con Silvia Ronchey in una vecchia intervista. Zolla - cui si deve anche l’intuizione sui «superbi» - è più tranchant di Pietro Citati che pure lasciava la porta aperta a una lettura della favola come «crudele storia realistica». Tutto si può fare, certo, ma il nocciolo è altrove. Ed è inutile cercarne il colore. Pur in mancanza di documenti ufficiali si dà per acquisto l’affratellamento di Carlo Collodi, alias Carlo Lorenzini, alla Massoneria, e in particolare a quei circoli fiorentini - da cui poi sarebbe emerso un grande matematico come Arturo Reghini - in cui si consumavano letture pitagoriche ed isiache. Ma è difficile dire se il Pinocchio esoterico abbia una cifra puramente massonica o piuttosto gnostica, egizia, norrena, greco-romana. Tutte e nessuna. Qui, infatti, si apre il valzer dei simboli e delle dotte enumerazioni di allegorie. Ma, in realtà, poco importa sapere se Pinocchio sia esattamente il «piccolo pino», l’albero sempreverde che resiste alla morte, o invece il «pin-occhio», cioè l’occhio pineale della visione non ordinaria (il celebre terzo occhio). Così come rileva scarsamente ricordare che nell’Edda nordica gli uomini erano tratti dagli alberi, come il burattino dal legno, e che nella versione iniziale della storia il nostro finiva impiccato a un albero al pari di Odino. Ancora: Geppetto è un falegname come il Giuseppe padre di Gesù, la Fata turchina è Iside o la Sophia-Beatrice (la Sapienza), a seconda delle interpretazioni, la balena rimanda a Giona, le orecchie d’asino ad Apuleio ma pure a un secondo atto, meno noto, del mito di Re Mida.
Si potrebbe continuare ma facciamola semplice. Il cuore del racconto iniziatico, Ovidio insegna, è sempre nella metamorfosi, nella trasformazione: da «burattino», mosso dai fili delle passioni («quelle passioni che ci rendono simili a marionette e nient’altro», scriveva Marco Aurelio), a «bambino vero», compiuto, liberato in senso olimpico. L’oro dal piombo. L’ordine dal caos. Non è una parabola che si disegna dalla poltrona di casa o si realizza per puro desiderio. «Dovrai meritarlo» ammonisce la Fata Turchina-Iside-Sophia. Le prove iniziatiche servono allo scopo e nessuna di esse ha un esito scontato. Quando Lucignolo («un Lucifero miserello», sempre Zolla) trascina Pinocchio nel Paese dei Balocchi gli squaderna un mondo infero (da «in-fero», porto dentro) in cui l’unica regola è la più grande delle trappole: fai ciò che vuoi. E infatti i bambini non vanno a scuola, fumano, bevono. Tutti diritti e nessun dovere. Niccianamente, la morale dei servi, la grande promessa della libertà realizzata che trasforma in asino chi si pensava, finalmente, padrone di sé. È forse il momento più drammatico - e tragicamente attuale - di un’epopea che avrà il suo atto di svolta nel ventre della balena lì dove l’uomo si raccoglie al riparo dal mare in tempesta (le passioni, ancora). È il punto di rottura che porta poi alla quadratura del cerchio e alla realizzazione di sé.
È il compimento del grande percorso iniziatico. Nonché lo svelamento di un piccolo segreto accessorio. L’immaginario italiano è sempre stato ostaggio stantìo di ragazzini nelle cave e ladri di biciclette. Ma qualcosa di più alto, carsicamente, dai «Fedeli d’Amore» a Collodi e oltre, ha fecondato anche (e perfino) la nostra letteratura. I superbi non lo sanno e passano oltre. Per fortuna.