di MASSIMILIANO SCAGLIARINI
BARI - La mancanza del doppio binario non può essere considerata una concausa dell’incidente. E il sistema di blocco telefonico, pur obiettivamente vetusto, era regolarmente autorizzato in base alle norme vigenti all’epoca. Il motivo dello scontro tra due treni della Ferrotramviaria che il 12 luglio 2016 ha fatto 23 morti e 50 feriti (di cui 7 gravissimi) va cercato negli errori commessi da tre diversi addetti (un capotreno e due capistazione), il cui livello di preparazione tecnica lascerebbe molto a desiderare. Possono essere riassunte così le conclusioni dell’inchiesta tecnica che il ministero delle Infrastrutture si prepara a depositare, in contemporanea - o quasi - con la chiusura delle indagini avviate dalla Procura di Trani.
«Il rapporto di indagine sarà reso pubblico tra una quindicina di giorni», conferma alla «Gazzetta» l’ingegner Fabio Croccolo, direttore della Fema (la direzione del ministero che si occupa delle investigazioni ferroviarie e marittime). Le conclusioni sono ancora riservate, anche se mercoledì a Roma i periti hanno incontrato i familiari delle vittime. Del pool di investigatori fa parte anche un pugliese, l’ingegner Vito Pascale (Ferrovie del Gargano), un esperto di sicurezza che ha collaborato alle indagini tecniche su diversi altri incidenti. Gli esperti del ministero la scorsa settimana hanno incontrato anche i pm della Procura di Trani che coordinano le indagini, e che hanno ricevuto una bozza della relazione. Per quanto la Procura abbia infatti i propri periti, l’accertamento tecnico e quello giudiziale sono andati infatti di pari passo.
Nell’inchiesta giudiziaria sono indagati dal principio il capostazione di Andria, Vito Piccarreta, quello di Corato, Alessio Porcelli, e il capotreno del convoglio partito per errore, Nicola Lorizzo (l’altro capotreno e i due macchinisti sono morti nell’incidente). La dinamica dello scontro è ormai definitivamente chiara: l’ET1021 partì alle 10,58 da Andria (con il via libera di Piccarreta) nonostante non si fosse verificato il prescritto incrocio in stazione con l’ET1016 proveniente da Corato. L’errore nel dare il via libera, la telefonata (quella da Corato ad Andria) fatta «dopo» e non «prima» della partenza del treno, e infine il capotreno dell’ET1021 (un Alstom Coradia) che avrebbe dovuto aspettare di vedere con i propri occhi l’ET1016 (uno Stadler Flirt) prima di dare la partenza al suo macchinista. Questi sono i tre errori gravi. Forse causati, secondo la perizia tecnica ministeriale, anche da una insufficiente preparazione.
La Procura di Trani ipotizza a vario titolo, come noto, i reati di disastro ferroviario, omicidio e lesioni colpose, oltre che violazioni alle normative sulla sicurezza del lavoro: riguardano i ferrovieri, ma anche i manager e gli amministratori di Ferrotramviaria. Ma negli ultimi giorni gli accertamenti si sarebbero concentrati anche su un livello superiore, quello che si sarebbe dovuto occupare dei controlli: sia il ministero delle Infrastrutture, che con l’Ustif aveva la vigilanza sulle reti concesse al momento dell’incidente, sia l’Ansf che ha ereditato la competenza a seguito del decreto del 5 agosto 2016 del ministro Graziano Delrio. Gli inquirenti sembrerebbero interessati a stabilire se ci sono state eventuali omissioni nella catena delle verifiche sulle autorizzazioni, e ritardi nel trasferimento delle competenze all’Agenzia nazionale per la sicurezza che - fino al giorno della strage - si occupava soltanto della rete Rfi. La norma di riferimento (il Dlgs 112/2015) impone la competenza dell’Ansf solo sulle reti private «connesse» con la rete nazionale, e quella di Fnb tecnicamente non lo era: fu necessario l’atto d’imperio del ministro per forzare la mano e far scattare gli standard di sicurezza più stringenti, quelli che ancora oggi costringono buona parte dei treni pendolari italiani a non superare i 50 km l’ora.