uno studio

I Casalesi nelle carceri lucane pensano al post-Basilischi

La 'ndrangheta» e l'ex isola felice La «Famiglia» di Basilicata in uno studio dell'Università di Essex. «Dalle celle i boss potrebbero riorganizzare il clan»

SILVIA BORTOLETTO

Il mito della Lucania Felix, la Basilicata come isola povera ma felice, in un mare inquinato di criminalità e violenza, va sfatato. I tentativi della 'Ndrangheta di costituire una mafia lucana, cui potesse essere affidata la gestione di vari traffici, si registrano sin già dagli anni '60 e '70.

La vera indipendenza, però, e l'attribuzione di un nome, famiglia Basilischi, all'organizzazione criminale, avviene nel 1994: l'allora boss della 'Ndrangheta, Peppe Morabito, da il permesso a Giovanni Luigi Cosentino, detenuto nel carcere di San Gimignano con l'accusa di aver gestito un giro di prostituzione, di costituire un'entità mafiosa autonoma. La Famiglia Basilischi, come tale, ha però vita breve: il 22 aprile 1999, la Procura di Potenza, grazie anche alla cooperazione di un crescente numero di pentiti, emette 84 ordini di custodia cautelare, assestando un duro colpo all'organizzazione. A quel punto i Basilischi devono mutare forma per sopravvivere e, come la 'Ndrangheta, diventano imprenditori di un vero e proprio marchio, che fa capo a diversi clan con vari gradi di affiliazione. Traffico di armi e droga, riciclaggio di denaro, usura, smaltimento illegale di rifiuti, investimenti nell'attività estrattiva del petrolio e gestione di appalti pubblici: sono tante le aree d'interesse cui la mafia lucana si è dedicata nel tempo.

Di questo parliamo con Anna Sergi, docente di criminologia all'Università di Essex e co-presidente della commissione post-laurea della British Society of Criminology.

La Famiglia Basilischi sembra essersi affermata, così come altre associazioni di stampo mafioso, grazie all'allettante prospettiva di appartenenza ad una setta/confraternita offerta agli aspiranti membri. Ma, a differenza, di altre organizzazioni, i Basilischi sono nati grazie al beneplacito della 'Ndrangheta e grazie all'azione di proselitismo svolta dal carcere di San Gimignano da Cosentino. Non c'era quindi una storia di famiglie dai cognomi conosciuti e temuti?

«A livello criminologico, la Famiglia Basilischi è stata un esperimento della ‘Ndrangheta che, da buona «holding» del crimine organizzato, ha deciso di operare un tentativo di «outsourcing», di esternalizzazione delle risorse, in Basilicata. Questo perché molti dei clan della ‘Ndrangheta hanno da sempre l’acume tipico dei businessmen: capire quando e come permettere l’autonomia di gruppi locali per trarne vantaggi economici. La creazione di un gruppo autonomo, la Famiglia Basilischi, è stata «commissionata» a Cosentino in carcere nel 1994, i rituali di affiliazione sono stati ripresi da quelli già esistenti della ‘Ndrangheta, le affiliazioni guidate dai Morabito (nda: potente famiglia della mala calabrese), e, soprattutto, gli accessi ad alcuni dei mercati «concessi» dagli stessi clan calabresi. La Famiglia Basilischi nasce quindi come costola della ‘Ndrangheta, ma si avvale di rituali ancor più mistici, ancora più ascetici; questo per creare quel «collante narcisistico» tipico dei gruppi mafiosi, in un territorio che vergine non era.

I gruppi esistenti in Basilicata prima dei Basilischi dovevano, tramite certi rituali, re-inventarsi sotto un nuovo nome e una nuova affiliazione. La «creazione» dei Basilischi deve essere intesa come convincimento di questi gruppi pre-mafiosi ad unirsi sotto una nuova egida con il benestare della ‘Ndrangheta, che, appunto, porta le licenze e gli accessi ai mercati. Sin dagli anni 80, quindi, subito dopo il terremoto dell’Irpinia – con conseguenti investimenti e fondi allocati alla regione – troviamo gruppi criminali locali pre-mafiosi al servizio di altre mafie espansionistiche e avide di accaparrarsi quei fondi e quegli investimenti, soprattutto la ‘Ndrangheta. Fino al 1989 abbiamo delle autorità disattente e dei media ancora più ciechi; e il mito della «Lucania Felix», di un territorio non affetto dal morbo mafioso, è stato il mantra ripetuto per tutto il decennio. Nel 1990, il nuovo Procuratore Generale di Potenza, inizia un’operazione di riconoscimento delle situazioni pre-mafiose sul territorio e inizia a setacciare la zona per ricondurre estorsioni, omicidi – le faide inter-clan di Montescaglioso da fine anni Ottanta - , atti di violenza – incendio doloso al Municipio di Melfi -, arricchimenti veloci e crimini economici, tutti sotto un’unica strategia di mafia lucana o quantomeno di penetrazione di altre mafie in Basilicata. Il mito della Lucania Felix pertanto ha reso le autorità incapaci di vedere che tutti gli ingredienti per l’indipendenza erano già presenti dagli anni 80».

La Famiglia Basilischi ha gradualmente sancito la propria autorità, pur sempre rimanendo «succube» o comunque legata alle attività criminali e agli intenti «manageriali» di 'Ndrangheta e Camorra sul proprio territorio. Ma quali erano le maggiori differenze con le più note organizzazioni?

«Ad oggi i gruppi criminali, un tempo affiliati come Famiglia Basilischi, non risultano più attivi sotto questo nome. Non deve sorprendere che la Famiglia Basilischi sia stata un esperimento fallito, su cui la magistratura è riuscita a intervenire già nel 1999, con arresti e catture che hanno menomato il gruppo in modo sostanziale.

La Famiglia si presentava come un’organizzazione molto gerarchizzata che, grazie a rituali mistici, invitava i vari membri ad unirsi ad una fratellanza e ad un sentire comuni. Al centro di tutto vi era l'idolatria del capo. Ed è proprio questo uno dei punti chiave di differenza: la ‘Ndrangheta non ha mai avuto un culto del capo, un capo dei capi dal potere assoluto, come lo volevano i Basilischi. Nella ‘Ndrangheta, ma così come anche nei clan di Camorra, non può esserci spazio per idolatrie: il potere e gli affari devono essere il più possibile flessibili. Inoltre, i Basilischi non si sono mai specializzati in un’attività prescelta. Hanno sempre fatto di tutto e di più: dalla droga, al radioattivo, al racket, alle interferenze politiche, al riciclaggio di denaro, al contrabbando. Da ultimo, la differenza dei Basilischi con altre associazioni mafiose, sta nella struttura del gruppo e nell’incapacità di reagire in modo efficace alle varie sfide interne ed esterne. Per esempio, nonostante la centralizzazione del potere in mano a Cosentino (e poi Cossidente), nonostante i rituali di affiliazione da manuale, la Famiglia non sembra avere piani di riserva e strategie di conservazione in atto e i gruppi locali, soprattutto dopo la divisione in sei aree di influenza voluta dalla ‘Ndrangheta nel 2003, hanno continuato a preferire ed inseguire interessi propri, rispetto a quelli della Famiglia come entità «madre». Nel momento in cui i capi si sono pentiti noi vediamo la Famiglia Basilischi crollare ed essenzialmente morire. In altri gruppi criminali mafiosi la capacità del gruppo di ripresentarsi nonostante gli attacchi delle autorità e gli incidenti di percorso, rappresenta una forza e una garanzia che i Basilischi non sembrano mai avere avuto».

Grazie all'azione di pentiti, tra i quali Antonio Cossidente, dal 2003 spuntano nomi di politici locali, affiliati a partiti noti, collusi con i Basilischi...

«Negli ultimi anni si è registrato un aumento dell’attenzione delle autorità e dei media locali e nazionali sui nessi mafia-politica in Basilicata. In particolare, da quando Antonio Cossidente, secondo capo dei Basilischi, si è ufficialmente pentito nel 2010 (anche se la sua collaborazione con la giustizia pare risalire al 2003), sono venuti a galla vari legami tra partiti politici e gruppi mafiosi lucani sin dagli anni 90».

Qual è lo scopo principale della sottrazione di materiale radioattivo dal Centro Enea della Trisaia? Può questa attività collidere con il monopolio dello smaltimento dei rifiuti detenuto dalla Camorra?

«È del 2001 l’indagine di una delegazione della Commissione Antimafia in Basilicata per investigare su sottrazioni di materiale radioattivo dal Centro Enea della Trisaia, dove per anni scorie radioattive, rifiuti solidi e liquidi di alta e media attività nucleare, risultavano abbandonate in condizioni di scarsa sicurezza. Ancora una volta, al centro delle indagini era la ‘Ndrangheta e per fatti risalenti già ai primi anni 90. Si parlò in seguito anche di eventuali connessioni con elementi deviati dei servizi segreti. Il materiale, che fu rivelato essere plutonio, pare sia stato trasportato a Reggio Calabria da cui fu poi imbarcato e rivenduto a gruppi terroristici in altri paesi: i media parlarono dell’Iraq, tra gli altri. Ma l’indagine rimase e rimane top secret. Il Centro Enea, dal canto suo, ha più volte ribadito che non solo non si trattava di plutonio ma che nulla era sparito dal proprio inventario».

Può la Famiglia Basilischi realisticamente pensare ad un controllo dell’attività di estrazione del petrolio in Val d'Agri con la probabile collusione della classe dirigente?

«Tutte le famiglie mafiose di un certo calibro si preoccupano di condizionare gli appalti regionali e locali. La Famiglia Basilischi necessariamente è stata attratta da appalti pubblici e soprattutto dagli investimenti relativi ai giacimenti di petrolio in Val D’Agri. In quel territorio, in particolare, sono da anni attivi clan campani e calabresi. I Basilischi si trovano a partecipare a fine anni 90, legati ai clan di Siderno e della bassa Campania».

Quanto c’è da temere la presenza del clan casalese nelle carceri lucane? Quali scenari si possono aprire?

«I clan mafiosi pescano da sempre all’interno delle carceri per manovalanza. Le carceri sono probabilmente il luogo più sicuro e più consono al reclutamento di nuove e vecchie leve. Negli ultimi anni si è registrato questo fenomeno curioso di affiliati di Camorra latitanti, soprattutto casalesi, che hanno deciso di costituirsi alle autorità presentandosi al carcere di Melfi, poiché il Tribunale di Melfi, fino a quando è rimasto aperto, è risultato particolarmente veloce nel gestire i procedimenti di custodia cautelare.

La concentrazione di camorristi nelle carceri lucane potrebbe evolversi in almeno due scenari. Da una parte, questa potrebbe essere una mossa strategica dei casalesi, per assicurarsi manovalanza propria in terra lucana; la situazione “post-Basilischi”, infatti, risulta confusa e sicuramente non organizzata come prima, pertanto ci sono spazi di manovra che, sia Camorra, sia ‘Ndrangheta potrebbero sfruttare.

D’altra parte, la concentrazione del know-how camorristico nel carcere lucano potrebbe essere impiegato nella costituzione di nuovi gruppi in carcere e nella formazione di criminali autoctoni, a servizio dei casalesi, un po’ come accadde con la ‘Ndrangheta e Cosentino nel 1994. Sarebbe l'inizio di un altro «esperimento mafioso», questa volta targato Camorra».

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