BARI - L’organizzazione aveva messo le mani sui cantieri edili di Bari e il sistema delle estorsioni oltre alle modalità classiche del 'pizzo' o dell’assunzione di persone addette alla guardiania dei cantieri imponeva anche di subappaltare i lavori a imprese 'amiche'. Sono alcuni degli aspetti inquietanti che emergono dalle indagini, avviate nel 2011 dalla squadra mobile e coordinate dal sostituto procuratore antimafia Patrizia Rautiis, che hanno decimato oggi il potente clan mafioso di Bari che fa capo a 'Savinucciò Parisi con l'arresto di 25 persone: dovranno rispondere a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, possesso d’armi e minacce. Tra i destinatari dell’ordinanza ci sono anche lo stesso capoclan Savino Parisi, tornato in carcere una settimana fa per estorsione dopo due mesi di libertà e suo figlio Tommy, il cantante.
Il gip del tribunale di Bari che ha emesso le ordinanze di custodia cautelare ha indagato sette imprenditori edili, per due dei quali ha disposto il carcere. Si tratta dei fratelli Emanuele e Alessandro Sicolo, il primo accusato di associazione mafiosa e l’altro di concorso esterno. Gli altri 5 imprenditori sono indagati a piede libero.
L’operazione - chiamata «Do ut des» - ha svelato le modalità utilizzate dalla organizzazione per imporre la presenza del clan nel settore dell’edilizia. Una «mafia capitale» di casa nostra, come l’hanno definita gli investigatori secondo i quali Tommy, al momento latitante, era il trait d’union tra il padre e i sodali. Una «eccellente operazione» di polizia, «sono orgoglioso dei miei uomini», ha detto il questore di Bari, Antonio De Iesu. «Viene rafforzata così - ha detto il prefetto di Bari, Carmela Pagano - la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dello Stato».
«I cittadini - ha detto il sindaco di Bari, Antonio Decaro - stanno dalla parte della magistratura e delle forze dell’ordine che ci hanno dimostrato che la luminosità del rispetto della legge e delle regole batte qualsiasi spettacolo di fuochi pirotecnici organizzato dai clan criminali».
L’indagine è stata avviata (senza alcuna denuncia) il 7 febbraio 2011, dopo il ferimento con colpi di pistola, compiuto da uno dei sodali del clan Parisi, nei confronti di due presunti responsabili del furto avvenuto in un cantiere, nel quartiere Japigia, territorio di Savinuccio dove, tra l’altro, il capoclan non voleva avvenissero fatti di sangue. Dalle intercettazioni e dalle indagini sul ferimento si è giunti al modus operandi del «sistema appalti». Parenti e sodali di Savinuccio operavano un controllo sistematico del territorio che prevedeva la mappatura di ogni nuovo cantiere. A quest’ultimo si avvicinava il clan attraverso sottogruppi competenti per territorio. Quindi, s'individuava la ditta a cui presentarsi, si avvicinava il direttore dei lavori o il geometra, iniziando a colloquiare con gli imprenditori e collocando, all’interno del cantiere, un guardiano che diventava orecchie e occhi dei criminali. Questa presenza consentiva, un po' alla volta, l’imposizione, agli imprenditori, dei propri fornitori e ditte di subappalto facendo di molto lievitare i costi delle materie prime (calcestruzzo, piastrelle, ecc); anche nel caso di edilizia pubblica come per la costruzione della nuova sede del consiglio regionale pugliese e delle case popolari di Sant'Anna. Quattro i casi di edilizia pubblica dove - secondo quanto accertato dalle indagini - il clan era riuscito a infiltrarsi. Un vero e proprio business quello dei subappalti che fruttava il grosso del guadagno all’organizzazione criminale.
In tutto sono state 52 le richieste di misure cautelari, 31 quelle emesse dal gip, 25 quelle eseguite. Sono 65 le imprese sulle quali si è soffermata l’attenzione della Squadra mobile: i titolari di 10 di queste hanno deciso di collaborare con la polizia, altri sono stati reticenti, altri sono risultati essere 'a disposizione del clan'.
L’indagine ha svelato anche i meccanismi di controllo del clan Parisi circa le assegnazioni delle case popolari stabilendo, fuori da ogni graduatoria, chi avrebbe dovuto abitarle. Case che venivano occupate di notte, o minacciando gli aventi diritto, e date in favore di persone vicine al clan. All’operazione hanno partecipato anche gli uomini dello Sco, diretti da Renato Cortese, che hanno eseguito sequestri per circa 5 milioni di euro in beni mobili e immobili. Il procuratore capo, Giuseppe Volpe, ha sottolineato l’importanza della collaborazione con l’Ance e il rapporto di fiducia che si è venuto a stabilire tra gli imprenditori vittime delle richieste estorsive e la polizia. L’Ance ha rinnovato l’impegno alla collaborazione e ha chiesto sempre più controlli sui cantieri. «Tutto questo - ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano - è il lavoro instancabile della nostra Squadra-Stato».