Divina Provvidenza, Cassazione fare luce su ruolo di suor Marcella
Dirimente stabilire se era lei o Azzollini a dirigere sodalizio
ROMA - Accolto in parte, dalla Cassazione, il ricorso con il quale suor Marcella - Rita Cesa, prima di prendere i voti - ha cercato di ridimensionare le accuse a suo carico di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta e induzione indebita nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Trani sul crac da mezzo miliardo di euro della 'Congregazione delle ancelle della Divina Provvidenzà della quale l’indagata era madre generale, inchiesta nella quale è coinvolto anche il senatore Antonio Azzollini.
La Suprema Corte, con la sentenza 9545 depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi lo scorso due dicembre, ha annullato con rinvio l'ordinanza con la quale il Tribunale di Bari, il 2 luglio, aveva confermato gli arresti domiciliari per suor Marcella. Ad avviso dei supremi giudici è necessario che sia meglio approfondito il ruolo della ex superiora che nel frattempo rimane in custodia cautelare.
In particolare, la Cassazione sottolinea che il Tribunale di Bari ha ritenuto che la nascita dell’associazione per delinquere risalirebbe «all’estate del 2009 su iniziativa dell’Azzollini e di alcuni suoi accoliti, che si sarebbero sostanzialmente 'impossessatì della gestione della Congregazione», mentre a suor Marcella è mossa l’accusa di essere stata la promotrice del sodalizio criminale fin dal 1999 «ben prima della comparsa dell’Azzollini».
La questione delle date - rileva la Cassazione - non è «irrilevante» dal momento che «ciò che implicitamente sembra presupporsi» è che «in definitiva» solo nel 2009 «si sia realizzato l’accordo associativo e non già la mera adesione dell’uomo politico e della sua variegata 'cortè ad un sodalizio già attivo, di cui lo stesso avrebbe assunto la guida».
«Ma se nessuna associazione preesisteva alle vicende consumatesi nell’estate del 2009 e se l’iniziativa della sua costituzione deve essere attribuita all’Azzollini, come per l'appunto sembra implicitamente ritenere il tribunale, non appare dimostrata - argomenta la Cassazione - l’effettiva intenzione dell’indagata di aderirvi».
Intenzione che, prosegue il verdetto, «non è esclusivamente deducibile dall’eventuale concorso» di suor Marcella «nei presunti reati fine e ciò a prescindere dal fatto che quelli la cui consumazione è avvenuta o iniziata precedentemente alla sua costituzione, e che sono contestati alla Cesa, sarebbero estranei al programma criminoso della consorteria nonostante la sostanziale omogeneità a quelli che invece vi rientrano».
In base a quanto scrive la Cassazione potrebbe aprirsi la strada, quindi, per un alleggerimento della posizione della ex madre superiora che avrebbe cercato l'appoggio dell’Azzollini nella «multiforme campagna di spoliazione» della Congregazione «iniziata da tempo immemore», finendo per «tollerare» i «singoli reati commessi dal Senatore e/o dai suoi complici», cosa della quale suor Marcella dovrebbe comunque rispondere in concorso, senza però essere considerata una componente organica dell’associazione a delinquere.
Infine, dato che suor Marcella è stata estromessa già dal 2013 dalla gestione della Congregazione, commissariata, occorre rivalutare, conclude la Cassazione, se ancora sussista la necessità di tenerla in arresto.