Brindisina morì per sangue infetto 700mila ai parenti
VALERIA CORDELLA ARCANGELI
BRINDISI - Parto difficile, una trasfusione e venne infettata dall’Aids. Era il 1986. Poi nel 1993 la giovane brindisina morì all’età di soli 34 anni, dopo mesi e mesi di sofferenze. Troppo presto per i tempi della giustizia. Il giudizio è durato 12 anni e si è concluso nei giorni scorsi. I suoi familiari saranno risarciti con 700mila euro di cui dovranno farsi carico il ministero della Sanità e l’Asl brindisina che il marito e le figlie hanno citato in giudizio. Ma il dolore non ha prezzo. Soprattutto non ha prezzo la sofferenza di due ragazzine che hanno perso la mamma per una sacca di sangue infetto.
Una trasfusione cui la giovane, che all’epoca aveva 27 anni, fu sottoposta a causa delle complicazioni conseguenza del parto. La Corte di Appello di Lecce, sezione civile, ha confermato la sentenza di 1° grado emessa dal giudice civile di Brindisi. Dodici lunghi anni che alla fine hanno stabilito l’obbligo del risarcimento da parte dell’ente sanitario.
È a Mesagne nell’ospedale «De Lellis» che la donna si ricovera alle prime doglie per essere assistita durante il parto dal suo ginecologo. Imprevedibili, si presentano delle complicazioni. Si esegue una prima trasfusione di sangue. Non è sufficiente. Si richiede una seconda sacca. Sarà il sangue infetto contenuto in una di queste la causa della sua fine prematura. La gioia per la nascita della piccola, che oggi ha 24 anni, viene ben presto offuscata dalla scoperta della terribile malattia che in 7 anni la conduce alla morte.
Vani i tentativi di sconfiggere l’Hiv. A soli 34 anni, nel 2003, deve arrendersi. Unica consolazione: la piccola che ha messo al mondo è salva. Anche la seconda bimba partorita durante la malattia non l’ha contratta. Un autentico miracolo. Il risarcimento del danno richiesto dalla famiglia attraverso l’avvocato Daniela D’Amuri è un atto dovuto alla memoria della coraggiosa mamma. Ma esprime anche la rabbia per la leggerezza con cui si opera in alcuni settori della sanità.
Sarà la cartella clinica a fare luce sull’accaduto. Delle due sacche di sangue utilizzate per la trasfusione una sola ha un donatore certo e sano. Sull’altra è mistero. La caccia al donatore, infatti, finisce nel nulla. Non emerge il più piccolo riscontro. Non è possibile neppure chiarire come quel sangue sia mai potuto arrivare in ospedale. Lati oscuri che hanno indotto il giudice a riconoscere il diritto al risarcimento.
BRINDISI - Parto difficile, una trasfusione e venne infettata dall’Aids. Era il 1986. Poi nel 1993 la giovane brindisina morì all’età di soli 34 anni, dopo mesi e mesi di sofferenze. Troppo presto per i tempi della giustizia. Il giudizio è durato 12 anni e si è concluso nei giorni scorsi. I suoi familiari saranno risarciti con 700mila euro di cui dovranno farsi carico il ministero della Sanità e l’Asl brindisina che il marito e le figlie hanno citato in giudizio. Ma il dolore non ha prezzo. Soprattutto non ha prezzo la sofferenza di due ragazzine che hanno perso la mamma per una sacca di sangue infetto.
Una trasfusione cui la giovane, che all’epoca aveva 27 anni, fu sottoposta a causa delle complicazioni conseguenza del parto. La Corte di Appello di Lecce, sezione civile, ha confermato la sentenza di 1° grado emessa dal giudice civile di Brindisi. Dodici lunghi anni che alla fine hanno stabilito l’obbligo del risarcimento da parte dell’ente sanitario.
È a Mesagne nell’ospedale «De Lellis» che la donna si ricovera alle prime doglie per essere assistita durante il parto dal suo ginecologo. Imprevedibili, si presentano delle complicazioni. Si esegue una prima trasfusione di sangue. Non è sufficiente. Si richiede una seconda sacca. Sarà il sangue infetto contenuto in una di queste la causa della sua fine prematura. La gioia per la nascita della piccola, che oggi ha 24 anni, viene ben presto offuscata dalla scoperta della terribile malattia che in 7 anni la conduce alla morte.
Vani i tentativi di sconfiggere l’Hiv. A soli 34 anni, nel 2003, deve arrendersi. Unica consolazione: la piccola che ha messo al mondo è salva. Anche la seconda bimba partorita durante la malattia non l’ha contratta. Un autentico miracolo. Il risarcimento del danno richiesto dalla famiglia attraverso l’avvocato Daniela D’Amuri è un atto dovuto alla memoria della coraggiosa mamma. Ma esprime anche la rabbia per la leggerezza con cui si opera in alcuni settori della sanità.
Sarà la cartella clinica a fare luce sull’accaduto. Delle due sacche di sangue utilizzate per la trasfusione una sola ha un donatore certo e sano. Sull’altra è mistero. La caccia al donatore, infatti, finisce nel nulla. Non emerge il più piccolo riscontro. Non è possibile neppure chiarire come quel sangue sia mai potuto arrivare in ospedale. Lati oscuri che hanno indotto il giudice a riconoscere il diritto al risarcimento.