BARI - «Tortura in concorso». È il reato che avrebbero commesso gli agenti di Polizia penitenziaria in servizio al carcere di Bari, arrestati oggi alle prime ore dell’alba personale della sezione Polizia Giudiziaria – Aliquota Carabinieri della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari. I militari hanno dato esecuzione a una «ordinanza applicativa di misura cautelare agli arresti domiciliari», emessa dal Gip del Tribunale di Bari, su richiesta di questa Procura della Repubblica, nei confronti di 3 appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria, gravemente indiziati del delitto di tortura in concorso. Si tratta di Domenico Coppi, 58 anni, Giacomo Delia e Raffaele Finestrone entrambi di 57 anni, i tre agenti della Polizia Penitenziaria di Bari ai domiciliari con le accuse di «tortura in concorso» ai danni di un detenuto di 41 anni.
In esecuzione della stessa ordinanza è stata anche eseguita la “sospensione temporanea” dall’ufficio di appartenenza al Corpo di Polizia Penitenziaria nei confronti 6 assistenti, a tre dei quali è stato contestato il delitto di “tortura in concorso”. L’indagine, che vede nel complesso 15 indagati, è stata avviata a seguito di una segnalazione della Direzione e del Comando della Polizia Penitenziaria di Bari riferita al 27 aprile scorso quando gli agenti penitenziari, in servizio presso le diverse sezioni del carcere, conseguentemente ad un intervento presso una cella di detenzione, avrebbero infierito per circa quattro minuti su un 41enne detenuto.
Secondo l’accusa il sovrintendente Domenico Coppi, coordinatore della sorveglianza generale, avrebbe colpito con schiaffi e calci il paziente affetto da una patologia psichiatrica, fatto cadere appositamente dall’assistente Giacomo Delia durante il trasporto in infermeria dopo l’incendio del materasso nella sua cella.
Delia, è emerso dalle indagini, avrebbe inflitto calci al torace del detenuto, mettendosi anche di peso sui piedi del 41enne per tenerlo fermo. Condotte violente delle quali è accusato anche l’assistente Raffaele Finestrone, che avrebbe colpito il detenuto con calci alla schiena ed in pieno volto. Secondo quanto sarebbe stato accertato visionando le immagini delle telecamere del carcere, il detenuto avrebbe tentato inutilmente di difendersi dai colpi ricevuti. Le violenze sarebbero durate, secondo la ricostruzione degli inquirenti, quattro minuti.
Lo stesso detenuto, pochi giorni dopo la presunta aggressione, avrebbe parlato delle violenze con i vertici del carcere di Bari che lo avevano convocato per una contestazione disciplinare.
Va detto che non è stata segnalata alcuna lesione sul detenuto, ricoverato presso l’infermeria della struttura di detenzione immediatamente dopo i plurimi atti di violenza subiti. Nel corso dell’intera indagine è stata costante la collaborazione offerta da parte della Direzione dell’Istituto di pena e del Comando della Polizia Penitenziaria.
Il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari e all’esecuzione della misura odierna, seguirà l’interrogatorio di garanzia e il confronto con la difesa degli indagati, la cui eventuale colpevolezza, in ordine alle ipotesi di reato contestate, dovrà essere accertata in sede di processo nel contraddittorio tra le parti.
LE DICHIARAZIONI DEL SAPPE
«Invito tutti a non trarre affrettate conclusioni prima dei doverosi accertamenti giudiziari. La presunzione di innocenza è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale e quindi evitiamo illazioni e gogne mediatiche. Niente è più barbaro dei processi mediatici «. Lo dichiara il segretario generale del Sappe Donato Capece , a proposito dell’indagine della Procura di Bari, di cui prende atto e che ha portato all’arresto di agenti di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Bari con l’accusa di tortura nei confronti di un detenuto.
«In molti casi ed in diverse città, detenuti sono stati condannati per calunnia per le false accuse di presunti pestaggi subìti da alcuni poliziotti penitenziari durante la detenzione- afferma Capece- Noi confidiamo nella Magistratura perché la Polizia penitenziaria, a Bari come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere».
L’impegno del Sappe, aggiunge, " è sempre stato ed è quello di rendere il carcere una 'casa di vetrò, cioè un luogo trasparente dove la società civile può e deve vederci chiaro, perché nulla abbiamo da nascondere. Anzi questo permetterà di far apprezzare il prezioso e fondamentale lavoro svolto quotidianamente con professionalità, abnegazione e umanità dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria».
UILPA: ISOLARE CHI SBAGLIA
«Ancora indagini e misure cautelari nei confronti di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria con a carico l’ipotesi del grave reato di tortura commesso ai danni di un detenuto. Questa volta è il caso del carcere di Bari e anche in questa circostanza riponiamo incondizionata fiducia nella magistratura e negli organi inquirenti, chiedendo che facciano piena luce sull'accaduto nella speranza che tutti gli agenti coinvolti riescano a dimostrare la correttezza del loro operato». Lo dichiara Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria, in seguito agli arresti dei tre agenti della polizia penitenziaria avvenuti oggi a Bari per le presunte violenze contro un detenuto. «Episodi come questi - sottolinea - vanificano il sacrificio e infangano la straordinaria professionalità di 36mila donne e uomini del Corpo di polizia penitenziaria che quotidianamente assicurano la sicurezza nelle carceri del Paese e costituiscono al tempo stesso l’ultimo baluardo di umanità nelle frontiere penitenziarie». «Chi sbaglia - aggiunge - va individuato, isolato e perseguito, ma se le indagini per il reato di tortura sono ormai numerose e interessano carceri diverse in tutto il Paese, probabilmente, c'è molto di più di qualcosa nell’organizzazione complessiva che non funziona e da correggere». «Il reato di tortura è costruito male e l'organizzazione carceraria è pessima. Allora - conclude De Fazio - chiediamo al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di aprire immediatamente un tavolo di confronto permanente per discutere di riforme».
ANTIGONE: LEGGE INFRANGE OMERTÀ
«Dell’indagine sulle presunte torture nel carcere di Bari eravamo a conoscenza da tempo e aspettavamo il primo atto ufficiale arrivato nelle ore scorse. Come sempre avviene in questi casi ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso e si chiariscano le eventuali condotte e responsabilità». Lo afferma il presidente di Antigone Patrizio Gonnella.
" Da quando è stata introdotta la legge contro la tortura nel 2017 - aggiunge - sono diversi i processi e le indagini in corso che vedono coinvolti appartenenti alla Polizia penitenziaria. Segno di un testo che era e continua ad essere fondamentale per prevenire e perseguire abusi in un luogo chiuso come il carcere».
«Ci auguriamo - prosegue - che chiarezza venga fatta anche sul coinvolgimento del personale medico, più di una volta indagato o condannato in procedimenti simili, per la mancata refertazione di ferite e lesioni. Nel caso specifico di Bari la buona notizia è stata la collaborazione dei vertici del carcere - sia della direzione che della stessa Polizia Penitenziaria - per individuare i presunti colpevoli delle violenze e arrivare ad un primo accertamento dei fatti».
«Anche in questo caso, come ripetiamo, la legge sulla tortura può aiutare a rompere il muro di omertà che spesso si è creato in passato, garantendo ampio riconoscimento a chi porta avanti il proprio lavoro nel rispetto dei diritti e della dignità degli individui» conclude Gonnella.
GIP: VIOLENZA NON OCCASIONALE
Gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Bari colpiti oggi da provvedimenti cautelari "hanno dimostrato una disarmante naturalezza nell’adoperare o nel consentire che altri adoperassero violenza nei confronti di un detenuto», a «riprova di un atteggiamento di prevaricazione e di abuso che parrebbe essere tutt'altro che occasionale». Lo scrive il gip del Tribunale di Bari, Giuseppe Montemurro, nelle 55 pagine del provvedimento con il quale ha ordinato gli arresti domiciliari per tre agenti e ne ha interdetti dalla professione altri sei. Il giudice ha inoltre fissato gli interrogatori del medico di turno nell’infermeria del carcere e di altri due agenti di polizia penitenziaria per decidere sulla loro interdizione chiesta dalla Procura. Si tratta del medico Gianluca Palumbo, di 44 anni, indagato per omessa denuncia e falso; e degli agenti Roberto Macchia, di 29, e Francesco Valenziano, di 56, sottoposti ad indagine per omissione di atti di ufficio per non aver impedito le torture.
LE PAROLE DEL MINISTRO NORDIO
«La contestazione di gravi reati ad alcuni agenti di Polizia penitenziaria in servizio nella Casa circondariale di Bari ci addolora molto: il Corpo è composto di poliziotti che ogni giorno - con grande abnegazione e passione - adempiono al proprio dovere nel pieno rispetto della legalità. Accuse come queste rischiano di offuscare il grande impegno profuso. L’Amministrazione penitenziaria ha però in sé tutte le risorse per garantire un servizio sempre orientato al pieno rispetto della legalità, secondo il giuramento di fedeltà alla Costituzione e alle Leggi che ciascuno di noi ha fatto. Siamo rispettosi dell’operato della Magistratura e attendiamo, con fiducia, l’ulteriore sviluppo dell’azione giudiziaria, ricordando, una volta di più, anche il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza». Così il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio e il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Carlo Renoldi.
«I recenti episodi di violenza nei confronti dei detenuti, sia ben chiaro, appartengono soltanto a responsabilità fortemente personali che non riguardano minimamente il corpo della Polizia penitenziaria. Io a questo ci tengo. Perché se è vero che la nostra Costituzione dice che le responsabilità penali sono personali, mai come in questo caso la responsabilità penale è personale e quegli episodi vanno ascritti a quei soggetti che sono accusati, salvo la possibilità di dimostrare la loro estraneità nel processo». Lo ha detto il viceministro per la Giustizia Francesco Paolo Sisto.
Quanto all’ergastolo ostativo, il viceministro ha detto che si tratta di un «provvedimento che deve essere necessariamente discusso in Parlamento, perché si tratta di convertire un decreto legge: quindi passerà dalle Commissioni e dalle Camere. Le modifiche che il Parlamento intenderà porre in essere, così come anche per il 'reato ravè, sono soggette alla democrazia parlamentare».