ROMA - Acciaierie d’Italia conferma la volontà di mettere 3000 lavoratori in cassa integrazione straordinaria per un anno. È quanto si apprende da fonti sindacali presenti all’incontro in corso in Confindustria a Roma, in cui l’Azienda avrebbe ribadito quanto annunciato nella lettera inviata il 1 marzo, 2500 lavoratori solo per il sito di Taranto e 500 per gli altri siti. "Non abbiamo intenzione di farci intimorire da ciò che succede in siderurgia o da ciò che succede nel mercato dell’acciaio. Noi non dichiariamo esuberi e non ne chiediamo. Ci serve il tempo di recuperare ciò che è andato perso - avrebbe detto l’ad di Acciaierie d’Italia Lucia Morselli ai sindacati - ma i fatti sono che non si parla di esuberi ma di sospensioni temporanee».
LA UILM NON CI STA - «Non firmeremo accordi di cassa integrazione straordinaria che prefigura migliaia di licenziamenti, e non ci sono le condizioni per avviare un percorso di cassa integrazione straordinaria, l’azienda vuole fare la risalita produttiva e vogliono continuare ad avere 3000 lavoratori in cigs . Con questo tipo di approccio noi abbiamo detto all’azienda che non si può avviare nessun confronto di merito. Per noi vale l’accordo firmato al Mise. Le posizioni sono rimaste distanti. Al momento non ci sono convocazioni». Lo afferma Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, al termine dell’incontro con Acciaierie d’Italia in Confindustria.
«La mia organizzazione non può sottoscrivere un avvio di cassa integrazione straordinaria che di fatto prefigura il licenziamento dei 1.700 lavoratori in Ilva AS a cui si aggiungerebbero altri 3mila lavoratori. Per quanto ci riguarda l'accordo del 6 settembre 2018 è l’unico sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e approvato dai lavoratori per mezzo del referendum. Nel 2018 - aggiunge Palombella - si arrivò a quel piano industriale dopo la realizzazione di un piano ambientale a cui diede l’ok la Commissione europea, dopo sei mesi di attenta valutazione, e dopo diversi addendum atti a soddisfare le richieste della Regione Puglia e del Comune di Taranto. Sempre nel 2018 siamo partiti da 14.200 persone per arrivare a 10.700 stabilendo un parametro: su 6 milioni di tonnellate di produzione dovevano lavorare a Taranto 8.200 lavoratori. Inoltre, i circa 2mila in Ilva AS sarebbero dovuti rientrare a lavoro con la risalita produttiva e comunque entro la fine di realizzazione del piano».
«Quell'accordo - dice il leader Uilm - è ancora oggi in essere, pertanto restano validi il piano ambientale e tutte le garanzie occupazionali. Dovete quindi sapere che un accordo di cassa straordinaria di un anno che 'presumibilmente', così come avete scritto, traguarda il 2025 noi non siamo nelle condizioni di poterlo firmare».
LA POSIZIONE DELLA FIM - «L'Incontro è servito perché abbiamo avuto chiarezza, il 2022 sarà un anno di ripresa della produzione. E questo significa che bisogna fare più acciaio e meno gente in cassa integrazione. La cassa integrazione non potrà sparire, l’azienda ci ha garantito che non ci saranno esuberi in questa cassa». Lo afferma Roberto Benaglia, segretario generale della Fim, a termine dell’incontro con Acciaierie d’Italia in Confindustria. "Continueremo a chiedere di ridurre il numero delle persone in cassa integrazione, non è pensabile - spiega Benaglia - che l'azienda aumenti la produzione del 40% e che questo non abbia degli effetti sull'occupazione. È una discussione aperta l'azienda ci rifletterà. Noi insisteremo perché ci deve essere una svolta in questo 2022». Un incontro al ministero del Lavoro «deve essere la prossima tappa», assicura, «sarà entro la procedura che scade il 28 marzo e quindi presumibilmente crediamo che il ministero ci convochi la prossima settimana»
TANTI NODI DA SCIOGLIERE PER LA FIOM - Dopo incontro preliminare sulla cassa integrazione straordinaria per riorganizzazione con Acciaierie D’Italia, «restano molti nodi ancora da sciogliere». Lo dichiarano Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil e Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom- Cgil e responsabile siderurgia al termine dell’incontro presso la sede di Confindustria a Roma. "L'accordo del settembre del 2018 con il Governo e con l’azienda era molto complesso ed aveva al centro il tema della piena occupazione. La risalita produttiva e le prospettive strategiche del gruppo, a partire dallo stabilimento di Taranto, dovevano accompagnarsi con una progressiva fuoriuscita dalla cassa integrazione e la rioccupazione dei lavoratori in amministrazione straordinaria. Questi principi - dicono i sindacalisti - per noi non sono in discussione, qualsiasi strumento transitorio legato all’incertezza degli assetti societari e delle prospettive a regime della produzione e dell’occupazione non può prevedere il riconoscimento di esuberi strutturali». L'azienda, spiegano, «ha affermato che non intende dichiarare esuberi nel momento in cui conferma importanti investimenti per Taranto che riguardano il rifacimento dell’altoforno 5, la messa a regime della produzione dell’altoforno 4, la costruzione di un forno elettrico ed il consolidamento degli impianti a valle della fusione (acciaierie, treni nastri e laminazione). Tutto ciò dovrà essere verificato insieme al piano industriale, agli investimenti, alle missioni produttive e ai livelli occupazionali per ogni stabilimento con il coinvolgimento dei due Ministeri interessati: per queste ragioni restano ancora molti nodi irrisolti».