Lecce - Costretta dai genitori a stare lontana da ogni possibile «contaminazione della cultura occidentale». Causando nella giovane una grave e irrimediabile chiusura verso gli altri, impedendole di fatto di proseguire serenamente il suo percorso di crescita all’interno del contesto sociale. Vivendo, di fatto, un’altra realtà rispetto ai suoi coetanei italiani. È per questo che il Tribunale per i minorenni di Lecce ha deciso di proseguire fino alla maggiore età il monitoraggio da parte dei servizi sociali di una 16enne originaria dello Sri Lanka, nata e cresciuta nel capoluogo salentino. Una vicenda che ricorda, con esiti meno tragici, la storia di Saman, giovane pakistana scomparsa nel nord Italia dopo un conflitto famigliare sullo stile di vita.
L’autorità giudiziaria e le istituzioni continueranno dunque a vigilare, finché possibile, sulle sorti di questa ragazza. Almeno fino a quando, compiuti i 18 anni, sarà lei stessa a scegliere il suo futuro.
La storia di Leyla (la chiameremo così) è già nota. Il primo intervento del Tribunale dei minorenni risale a quando ha appena 14enne: il padre, che aveva scoperto un’amicizia affettuosa con un compagno di scuola, le toglie il cellulare. E come se non bastasse decide di prometterla in sposa ad un coetaneo della giovane, anche lui cingalese. Un matrimonio combinato, come si faceva nei tempi arcaici. Atti autolesionistici e propositi di suicidio fanno emergere uno spaccato familiare fatto di vessazioni, imposizioni e violenze fisiche. Tant’è che la ragazza, in un primo momento insieme alla madre, viene trasferita in una comunità. I genitori promettono ai giudici che il fidanzamento con il ragazzino connazionale non si sarebbe più celebrato, e viste le continue richieste della minore di voler tornare dalla famiglia il Tribunale lo scorso anno decide di farla tornare a casa, prescrivendo però la frequentazione di un centro diurno e ordinando ai genitori di avviare un percorso di maggiore integrazione con la comunità italiana. Ma sembra che tutto questo non sia avvenuto. Leyla non ha frequentazioni extrascolastiche con i suoi compagni, mentre i genitori non hanno collaborato con i servizi nel percorso di integrazione, anche alla luce di «rilevanti limiti culturali».
«Appare necessario - si legge nel provvedimento - assicurare sino alla maggiore età una costante azione di monitoraggio della condizione della minore e, nei limiti in cui sarà possibile, di sostegno da parte dei servizi territoriali già officiati, in considerazione dei perduranti limiti nello svolgimento delle funzioni genitoriali e della carenza di integrazione e di abilità sociali della minore, tuttora ermeticamente chiusa al dialogo più profondo e alla manifestazione dei propri stati emotivi e costretta dai genitori ad uno stile di vita non corrispondente a quello dei suoi coetanei occidentali, poiché i genitori continuano ad essere arroccati rigidamente alla propria cultura d’origine fino al punto da sacrificare ogni libera espressione della figlia minore e da compromettere le possibilità di integrazione sociale».
Il padre della giovane (difeso dall’avvocato Paolo Spalluto) è a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia: la prossima udienza è fissata l’11 novembre davanti al giudice Stefano Sernia.
IL COMMENTO DI LAURA RAVETTO - «Una minorenne di origine cingalese è sotto la protezione dei servizi sociali, a Lecce, dopo essersi ribellata al matrimonio combinato dal padre. Non è accettabile che in Italia la libertà della donna sia messa in discussione». Lo dichiara la deputata della Lega, Laura Ravetto, capo del dipartimento Pari opportunità del partito.
Ravetto si riferisce alla storia di una 16enne per la quale il Tribunale era già intervenuto quando aveva 14 anni: il padre, dopo aver scoperto un’amicizia con un compagno di scuola, le tolse il cellulare e la promise in sposa ad un coetaneo cingalese. La ragazza si ribellò ed emerse una storia familiare fatta di sottomissione e violenze fisiche. Oggi la ragazza ha 16 anni e il Tribunale per i minorenni di Lecce ha deciso di far proseguire fino alla maggiore età il monitoraggio da parte dei servizi sociali.
«In Francia, dove siamo alla terza generazione di immigrati - prosegue Ravetto - ben 200mila giovani donne musulmane sono state costrette ad accettare negli ultimi 20 anni unioni non volute. È ora di interrogarsi non soltanto sui percorsi di integrazione, ma anche sull'opportunità di allontanare chi non rispetta le donne nel nostro Paese». «Un primo passo - conclude - è stato fatto grazie al Codice Rosso, ora dobbiamo vigilare su chi cerca di impedire alle giovani di vivere all’occidentale. Mai più casi Saman».