Lo scandalo
Bari, «con quel giudice siamo a cavallo»
Caso De Benedictis-Chiariello: la mala sapeva da almeno 10 anni
Bari - Le confessioni di una «settima-trequartino», grado altissimo nella gerarchia criminale di una «società maggiore» come la famiglia malavitosa dei Palermiti di Japigia, fanno tremare il palazzo. Le rivelazioni di Domenico Milella, 40 anni, alias «Mimm u’ gnor», braccio destro del boss Eugenio Palermiti, 58 anni, detto «Il nonno», non stanno portando alla luce solo i segreti della cupola mafiosa ma anche quelli nascosti tra i corridoi e le stanze del palazzo di giustizia e negli studi legali.
L'inchiesta è quella che ha portato all'arresto del gip Giuseppe De Benedictis e del penalista barese Giancarlo Chiariello. Secondo la Procura di Lecce, i due avrebbero stretto da tempo un patto in base al quale, in cambio di denaro, consegnato nell’abitazione, nello studio del legale, o anche all’ingresso di un bar vicino al nuovo Tribunale, il giudice emetteva provvedimenti favorevoli agli assistiti dell’avvocato. Fondamentali, nella ricostruzione della vicenda, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Quelle di Milella, ad esempio.
Da gennaio del 2020 «U’gnor» è impegnato a svelare ai magistrati antimafia, i segreti della mafia barese e della Società foggiana , comprese quelle su supposti rapporti privilegiati tra gli avvocati difensori di «indagati eccellenti di mafia» e un giudice. Quel giudice è Giuseppe De Benedictis, 59 anni, nato a Molfetta, che solo due settimane fa aveva chiesto di abbandonare la toga. Sua la firma in calce ad alcuni dei provvedimenti giudiziari più importanti degli ultimi anni. Dagli atti dell’inchiesta, emerge che Milella avrebbe confidato agli inquirenti di essere a conoscenza di un rapporto di corruzione che andava avanti da svariati anni, tra un giudice in servizio presso il Tribunale di Bari e alcuni avvocati del foro di Bari e di Foggia i quali, a dire del pentito, venivano nominati difensori in processi di mafia proprio perché «amici del giudice».
«Noi riusciamo a capire l’avvocato che sta bene con quel giudice... ma questo può voler dire tutto e può voler dire niente» racconta Milella nell’interrogatorio reso il 12 febbraio dello scorso anno. «Però - aggiunge - c’è un dato che ritorna da tempo sul giudice. Già nove anni fa io ero un ragazzino e già sapevo che quel giudice prendeva mazzette. Parecchi avvocati arrivavano direttamente a lui. Io non ho visto con gli occhi miei, non ho dato soldi, però Gianni Palermiti una volta mi disse che "Quando sta quello (ndr, riferito al giudice) siamo a cavallo”».
Milella racconta anche delle vicende giudiziarie di un suo sodale Giuseppe detto «U’Gnuff» di Japigia, arrestato nell’ottobre del 2019. «Lui - spiega - doveva uscire (ndr, ai domiciliari) verso Foggia. Dopo quindici giorni mi hanno detto che “No, l’avvocato dello Gnuff ha parlato con il giudice che gli ha detto: puoi andare direttamente alla casa... a Japigia. Che nessuno credeva che poteva uscire». Nell’inchiesta sono entrate anche le dichiarazioni datate 2012 di un altro pentito Matteo Tulimiero, del gruppo Parisi. Raccontando del suo arresto e di quello di altri sodali, Tulimiero spiega che il loro legale avvicinò un collega avvocato che sapeva amico di De Benedictis «per cercare di tirarci fuori dal carcere. Per il primo di noi pagammo 20mila euro, per gli altri 5 mila euro a testa. I soldi li demmo all’avvocato. Una volta che ci siamo incontrati. A suo dire doveva dividere quei soldi con De Benedictis».