Post elezioni
Regione Puglia, Pisicchio resta fuori: «I seggi vanno solo a chi ha voti»
Il Tar: nessuna incostituzionalità nelle soglie della legge elettorale
BARI - I voti per entrare in Consiglio regionale vanno cercati nelle urne, e non chiedendo alla giustizia amministrativa di manomettere la legge elettorale. Le motivazioni del provvedimento con cui il Tar di Bari ha rigettato il ricorso di Senso Civico sono secche e anche un po’ seccate: è «manifestamente infondata» - secondo i giudici (Terza sezione, presidente Ciliberti, estensore Dibello) - l’asserita questione di incostituzionalità del meccanismo di calcolo della percentuale di lista. «Il principio della sovranità popolare nel nostro sistema democratico non è messo in discussione» dalla previsione di una soglia di sbarramento, cioè quel 4% che la lista dell’ex assessore Alfonsino Pisicchio non ha superato.
Tutto nasce dall’errore del sito del ministero dell’Interno, che all’indomani delle elezioni regionali di settembre attribuì a Senso Civico il 4,09% e dunque tre seggi. Quelli che la lista chiedeva di riavere dal Tar. In realtà il sito Eligendo calcolava la percentuale come rapporto tra voti di lista e totale dei voti di preferenza (escludendo quindi le schede con la sola «X» sul nome del candidato presidente), mentre la legge regionale pugliese è chiara: si fa riferimento al totale dei voti validi, cioè quelli attribuiti a tutti i candidati presidenti, che equivalgono al totale degli elettori. «Il termine di confronto utilizzato dal legislatore - scrive il Tar - è il totale dei voti validi, perché solo in questo modo si mette alla prova l’effettiva rappresentatività di una lista e, dunque, la sua capacità di attrarre consensi elettorali nell’ambito di una competizione che va riguardata unitariamente, non per compartimenti stagni». Ne consegue che i 69.699 voti di Abaterusso e soci, equivalenti al 3,76%, in base alla legge non sono idonei a «rivelare il possesso di uno standard adeguato di rappresentatività nei confronti dell’elettorato regionale».
L’esame giuridico della questione, peraltro lucidissimo, finisce per entrare nel merito del nodo politico che lo stesso Tar sarà chiamato a dipanare a marzo, decidendo sui ricorsi che chiedono di rivedere l’assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione di Emiliano: 27 seggi o 29, a seconda che si considerino o meno, nella percentuale totale del vincitore, i voti delle liste che non hanno superato il 4%. «Così come le liste partecipanti al voto si giovano del collegamento a un candidato presidente particolarmente attrattivo - si legge in sentenza -, alla stessa maniera il candidato presidente lucra le preferenze di cui godono le liste elettorali in grado di rispecchiare un consenso elettorale adeguato, onde scoraggiare la formazione di pseudo-liste o liste-civetta, che hanno il solo scopo di rafforzare il consenso del candidato presidente». Cioè esattamente quanto avvenuto alle ultime elezioni: Emiliano ha presentato in coalizione 15 simboli (tra cui pensionati, casalinghe, indipendentisti...), ma solo tre hanno superato il 4% e dunque sono entrati in Consiglio. Tutti gli altri simboli, per dirla con il Tar, sono serviti al «solo scopo di rafforzare il consenso del candidato presidente». E però, includendoli nel calcolo della percentuale totale di Emiliano, l’Ufficio elettorale centrale non ha rispettato quel principio: l’unico modo per «scoraggiare la formazione di pseudo-liste o liste-civetta» è conteggiare solo i voti di quelle che hanno «un consenso elettorale adeguato», come del resto è sempre avvenuto nelle passate consultazioni.