Puglia

«Non hanno candidato le donne: escludere Fi e Puglia Domani»

Massimiliano Scagliarini

Il ricorso sulla parità di genere: «Legge regionale incostituzionale»

La parità di accesso alle cariche elettive tra uomini e donne deve essere garantita anche attraverso il rispetto delle proporzioni di genere nella compilazione delle liste. Principio che in Puglia, nei fatti, non viene assicurato. Per questo un gruppo di associazioni (prima firmataria Annamaria Bernardini) ha chiesto al Tar di Bari di annullare l’elezione a consiglieri regionali dei sei rappresentanti di Forza Italia e di Puglia Domani (la civica del centrodestra): cioè le due formazioni politiche che non hanno rispettato il rapporto 60-40 tra uomini e donne.

Il ricorso (con gli avvocati Marida Dentamaro e Veralisa Massari) verrà discusso giovedì insieme a quelli che riguardano le elezioni di settembre. Ma, a differenza degli altri sei, quello del comitato «#2votimegliodi1», dell’associazione Sud Est Donne, di Maschile Plurale, Casa delle Donne di Lecce, Giornaliste del Mediterraneo, Undesiderioincomune, Uomini in gioco e Giraffa punta a portare la legge elettorale pugliese davanti alla Corte costituzionale: perché - pur recependo il principio del 60-40, le norme regionali non lo hanno reso effettivo. E il principio della parità di genere nella compilazione delle liste sarebbe addirittura più importante della doppia preferenza, inserita solo grazie al commissariamento di Palazzo Chigi: meno donne ci sono nelle liste, minore è la loro probabilità di farsi eleggere.

Nelle liste per le ultime elezioni Forza Italia ha rispettato il 60-40 solamente a Foggia (5 uomini e 3 donne), mentre Puglia Domani solo a Bari (9-6) e nella Bat (3-2): solo due dei sei eletti (Giandiego Gatta e Saverio Tammacco) provengono da liste «equilibrate». La tesi, che il Tar dovrà esaminare, è che la legge regionale sia in contrasto con la Costituzione perché il recepimento della parità di genere sarebbe avvenuto senza poi renderla effettiva: il limite del 60% previsto dalla legge nazionale c’è, ma per chi lo viola c’è solo una «multa» (una riduzione dei contributi al gruppo consiliare per il primo anno di mandato). Una sanzione che, secondo i gruppi ricorrenti, è tutto tranne che afflittiva: è applicabile soltanto alle liste che «ottengano un risultato elettorale utile e formino corrispondenti gruppi consiliari», è rimessa alla «buona volontà» del presidente del Consiglio (cui spetta determinare l’ammontare) ed è «facilmente eludibile, mediante opportuni “accorgimenti” nella costituzione dei gruppi».

Il ricorso non mira a chiedere al Tar di modificare direttamente l’esito delle urne, perché il procedimento previsto dalla legge regionale è stato rispettato: non è previsto che le liste inadempienti sulla parità vadano escluse. Ma i consiglieri di centrodestra chiamati in causa (con gli avvocati Francesco Paolo Sisto e Sabina Di Lecce) si difendono sostenendo tra l’altro che la conseguenza di un eventuale accoglimento sarebbe l’annullamento delle elezioni. Ma per chi ha promosso l’iniziativa, a seguito di un eventuale accoglimento della questione di illegittimità costituzionale si andrebbe a rimodulare l’assegnazione dei seggi tra le liste di opposizione che hanno invece rispettato il principio.

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