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Università, scienziati apulo-lucani top al mondo: l'Aldo Moro tra le prime 10 italiane

marisa ingrosso

Su «Plos» le carriere più brillanti. I rettori: servono risorse, il Recovery non parcellizzi

Puglia e Basilicata vantano alcuni tra i migliori scienziati al mondo. Lo certifica l’ultima ricerca firmata John P. A. Ioannidis dell’Università di Stanford con Kevin W. Boyack e Jeroen Baas, e pubblicata pochi giorni fa su Plos Biology (online su https://data.mendeley.com/datasets/btchxktzyw/2; ndr).
Lo studio si basa sull’«indice H» di valutazione dell’impatto scientifico di un autore (se un suo lavoro è davvero importante, sarà citato spessissimo e l’«indice H», basandosi sia sul numero delle pubblicazioni, sia sul numero di citazioni ricevute, crescerà), coinvolge 7 milioni di ricercatori di università e centri di ricerca di tutto il mondo, in 22 campi scientifici e 176 sottocampi.
Le graduatorie sono più d’una e qui ci limitiamo a considerare la lista di alcune delle carriere italiane più brillanti che operano in Puglia e Basilicata (i nomi sono pubblicati nell’infografica in questa pagina; ndr), negli ultimi lustri e al netto delle auto-citazioni.

Sottolineiamo che «indice H» e graduatorie non sono, non possono essere, i soli parametri di valutazione, molti «cervelli» di assoluto valore non sono qui citati. Tutti, per altro, lavorano per il bene della collettività (e perciò stesso meritano un plauso), talvolta in condizioni difficili, soprattutto nel nostro Sud.

«Sulla ricerca - afferma Stefano Bronzini, 61 anni, rettore dell’Ateneo barese e docente di Letteratura inglese - il teorema è: cosa distingue l’Università, come istituzione, dal resto dei luoghi della ricerca? La differenza è che noi facciamo ricerca per una trasmissione a nuove generazioni di competenze sempre più raffinate. La ricerca è portare la profondità in superficie. Per cui io antepongo la ricerca alla didattica, pur riconoscendone la sua importanza, perché dove c’è buona ricerca ci può essere buona didattica». «Il vero problema nazionale - dice - è che noi paghiamo lo scotto di scelte ventennali che hanno segregato la ricerca in ambiti marginali. Nell’ultimo anno, invece, è stata sbattuta in prima pagina, veda il problema Covid. Però questo per quanto attiene alla percezione pubblica, ma i decisori dovrebbero sapere il valore della ricerca, a prescindere. Il problema vero è la politica e l’idea di sviluppo di un Paese. Questo governo, infarcito di moltissimo docenti universitari, e col ministro dell’Università e della ricerca Gaetano Manfredi, ha riposto al centro la ricerca, come asse di sviluppo. Per esempio il Recovery Fund e tutte le linee di ricerca stanno riponendo al centro temi su cui la ricerca, da 20 anni, sta chiedendo spazio e interessamento: dal digitale al trasporto, all’aerospazio, ai temi anche culturali e geologici, di territorio. Questioni che nelle università sono al centro delle linee di ricerca. Però adesso è la ricerca che deve dare la risposta. Noi tutti dobbiamo avere la responsabilità di essere motori della crescita del Paese. Ci saranno le risorse. Spero solo che la politica non parcellizzi troppo».

Francesco Cupertino, 47 anni, docente di “Convertitori, macchine e azionamenti elettrici”, è il rettore del Politecnico di Bari e, guardando la classifica mondiale degli scienziati, rileva «che c’è una tendenza a migliorare. Ci sono giovani che riescono a farsi largo in queste graduatorie e, ogni anno, c’è un piccolo miglioramento. Poi, una nota a margine, queste metriche vanno bene per valutare l’impatto delle ricerche e il top 2% al mondo è certamente importante, ma non vorrei passasse il concetto che il 20% non lo sia. Noi abbiamo ricercatori nel top 2% mondiale e in proporzione simile a quella degli altri due Politecnici, ovvero in base al totale dei docenti che hanno i tre Politecnici, soprattutto nella classifica 2019. Diciamo che abbiamo dati allineati a loro, siamo lì. Però l’altro giorno ero a una tavola rotonda con Romano Prodi ed ero l’unico meridionale. Lui ha rilevato come un risultato al Sud valga il doppio dello sforzo. Ecco, questo (questo piazzamento in graduatoria; ndr) non è motivo di vanto, ma arrivare al livello dei due Politecnici è forse costato ai miei ricercatori il doppio dello sforzo».

Il Recovery? «Mi auguro - dice - che con esso si possano fare investimenti di medio periodo e penso, per esempio, agli spazi. Noi siamo al limite di laboratori, aule e uffici e spero che si possa trovare il modo di aumentare gli spazi per l’Università di Bari in genere. Se si trovasse il modo per allargare i confini del Campus (penso alle casermette di Via Amendola di Bari), ciò consentirebbe più spazi per studenti e lavoratori. Se vogliamo dare seguito ai fatti e vogliamo aumentare i laureati in Stem (letteralmente “fusto”, “stelo”, è l’acrostico di Science, Technology, Engineering and Mathematics; ndr) dobbiamo dargli un luogo che sia all’altezza delle loro aspettative. L’importante è che i fondi non si perdano in rivoli anche se, per determinare la qualità della spesa, molto dipenderà da noi».

«La mia idea - dice il Prof. Angelo Masi, prorettore alla Ricerca dell’Università della Basilicata - è che la ricerca è un servizio, uno strumento per ottenere risultati utili per far star meglio le persone. E non le parlo solo del mio settore, io mi occupo di rischio sismico, ma parlo per tutti i settori. In questo momento, l’esigenza principale nel nostro Ateneo è quella di valorizzare le nostre risorse umane. Abbiamo una platea imponente di ricercatori precari, che hanno fatto tutto il percorso in modo brillante. E sono precari per difficoltà finanziarie. Ci vorrebbe un’attenzione maggiore alla competenza in ambito imprenditoriale e della Pa. Perché un ricercatore che ha fatto un dottorato di ricerca, ha capacità di lavoro che vanno bene in qualsiasi luogo di lavoro, in un’impresa, nella Pa e in un laboratorio di ricerca».

L'ALDO MORO TRA LE MIGLIORI 10 UNIVESITA' D'ITALIA - Nella classifica mondiale GreenMetric World University Ranking 2020 l’Università di Bari Aldo Moro si posiziona all’ottavo posto tra i 32 atenei italiani presenti, grazie a un forte impegno in termini di governance per la sostenibilità, che si è concretizzato anche nel definire alcuni degli Obiettivi Strategici a partire dall’Agenda 2030. Inoltre a livello globale su 912 università partecipanti al Ranking del 2020, l’Università di Bari occupa 119sima posizione con un balzo in avanti rispetto al 2019 di ottantasei posizioni.

Lo studio, promosso e attuato dall’Università dell’Indonesia (UI) misura ogni anno - è detto in una nota dell’Università di Bari - l’impegno delle istituzioni accademiche attraverso l'analisi di sei indicatori: Ambiente e Infrastrutture, Energia e Cambiamenti Climatici, Rifiuti, Acqua, Trasporti, Educazione. Le università vengono valutate nello sviluppo di soluzioni e proposte «eco-friendly», nella promozione di politiche di rispetto e salvaguardia dell’ambiente e di più ampia attenzione alla sostenibilità. Il sistema di criteri adottato da UI GreenMetric si basa sulle quattro «E": environment (ambiente), economics (economia), equity (equità) e education (educazione). Il primo ateneo italiano dell’UI GreenMetric World University Ranking 2020 è l’Università di Bologna, che con un punteggio complessivo di 8500 punti occupa la decima posizione nella graduatoria mondiale, seguita da due atenei torinesi, l'Università degli Studi di Torino e il Politecnico di Torino. In quarta posizione si trova l’Università degli Studi dell’Aquila, seguita dalla Luiss di Roma, dall’Università di Genova e dal Politecnico di Milano.

Ottava posizione per l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, davanti all’Università di Salerno e all’Università Milano-Bicocca, che chiude la top 10 della classifica italiana. 

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