Intervista

Bari, parla Vacca: La Puglia ha scelto l'Europa

LEONARDO PETROCELLI

"Non ci sono alternative al governo Conte. Renzi? Non esiste leader senza partito"

Professor Beppe Vacca, storico e politologo, già presidente della Fondazione Istituto Gramsci, iniziamo dalla Puglia. Si aspettava una affermazione così netta di Emiliano?
«No, non mi aspettavo una vittoria così netta e larga ma ero comunque convinto che vincesse».

I sondaggi suggerivano il contrario.
«C’è un elemento di contesto. La Puglia, ormai da 15 anni con Vendola prima ed Emiliano poi, si è inserita in un nesso virtuoso che passa da Roma e, soprattutto, da Bruxelles. Questo asse è decisivo per il nostro sviluppo. Anzi proprio Emiliano, a cui faccio molti auguri, per il tipo di vittoria che ha incassato potrà godere di un miglior terreno di intesa con il Governo».

In altre parole il discrimine è la capacità di star dentro il processo europeo?

«Con tutte le critiche che si possono fare al governatore rieletto, la Puglia ha dei punti di forza che possono essere valorizzati solo inserendo il territorio, con la mediazione di Roma, nel progetto neo-europeista. Un progetto che oggi, in Italia, si esprime proprio attraverso il governo Conte. Quali risorse strategiche, quale visione ampia poteva mettere in campo la destra con una figura come quella di Fitto già conosciuta e sconfitta?»

Si contava su un’onda sovranista che non c’è stata. Una stagione finita?

«In realtà, la destra aveva già subito una battuta di arresto notevole alle scorse europee anche grazie all’affermazione delle forze pro integrazione».

Questo si può dire se valutiamo i rapporti di forza in tutto il continente. Ma alle scorse europee la Lega, in Puglia come in tutta Italia, è andata più che bene.
«È vero, può sembrare una contraddizione ma proprio la nuova spinta che l’Unione si è data con la presidenza Von der Leyen e con tutte le prospettive messe in campo ha segnato la fine del traballante governo Salvini-Di Maio. Non solo, ma in Europa i 5 Stelle hanno trovato anche l’aggancio per smarcarsi dalla presa leghista».

Il Carroccio potrà ripartire dagli «europeisti» Zaia e Giorgetti?
«Sono altra cosa rispetto a Salvini, come lo era Bossi. Non a caso, subito dopo aver incassato la vittoria, il primo tema evocato da Zaia è stato quello dell’autonomia. Sono le antiche spinte leghiste con una riverniciatura di autonomismo corporativo e antinazionale»

Alziamo lo sguardo. Ha ragione Romano Prodi quando sostiene che il combinato disposto fra referendum e Regionali ha lanciato un segnale di stabilità?
«Il risultato delle elezioni premia il Governo e gli dà forza. D’altra parte, il referendum segnala che l’onda della antipolitica è ancora presente. Gli italiani non sono stati chiamati a votare su una riforma compiuta ma su un taglio sostenuto dal vecchio antiparlamentarismo. E tuttavia queste spinte sono state bilanciate dalla sconfitta delle destre in due regioni chiave come Toscana e Puglia. Di fatto, non esiste alternativa all’attuale esecutivo»

Ma a questo punto che succede a sinistra? I 5 Stelle e i renziani si sono dimostrati incapaci di fermare Emiliano. Si va verso un compattarsi dei progressisti a Roma come sui territori?
«La Puglia conferma la necessità di tenere in asse il governo locale con quello nazionale che ha dinanzi a sé un grande ciclo di riforme. Riforme in cui la nostra regione avrà un ruolo strategico così come l’esecutivo sarà strategico per noi. La risoluzione della crisi bancaria che ha colpito il Barese sta lì a dimostrarlo. Dunque, mi sembra difficile che le forze in campo possano essere sbaragliate da larghe filiere di compagnie di ventura dell’antipolitica».

Che destino attende il M5S?
«Nel 2018 era il partito di maggioranza relativa ma non ha retto all’impatto di chi, sul suo stesso terreno, ha cavalcato alcuni temi, come l’anti-europeismo, fino alle estreme conseguenze. Cioè Salvini. Da quel punto in poi è iniziato un percorso di normalizzazione. Ma che tipo di nuovo e stabile consenso possa acquisire il Movimento 5 Stelle in questo quadro è difficile dirlo. È una partita tutta da giocare».

E Renzi invece?
«Non ci sono leader politici che possano reggere senza un partito alle spalle. Renzi ha avuto la straordinaria possibilità di costruire un movimento coerente con le linee di consenso ricevute ma non l’ha fatto. Sembrava quasi non gli interessasse».

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