BARI - L’affluenza alle urne e l’incidenza del voto disgiunto sono i due nodi della sfida che in Puglia vede contrapposto il governatore uscente, Michele Emiliano, al predecessore Raffale Fitto, l’europarlamentare salentino che ha unito il centrodestra nel tentativo di riconquistare la Regione dopo 15 anni di dominio del centrosinistra. Otto gli aspiranti presidenti, 29 le liste e circa 1.300 i candidati a un posto in Consiglio, ma i numeri dicono che la vittoria sarà un affare per due.
Michele Emiliano cerca il bis con il supporto del Pd e di una valanga di liste civiche, ma l’appello a replicare in Puglia il blocco di maggioranza che regge il governo nazionale si è perso nel vuoto. E infatti i Cinque Stelle, che cinque anni fa arrivarono secondi davanti al centrodestra, hanno scelto di andare da soli con Antonella Laricchia che già sfidò Emiliano nel 2015 superando il 18%. Ma a pesare sarà soprattutto la spaccatura interna al centrosinistra che ha portato i renziani di Italia Viva (con Azione dell’ex ministro Calenda) a schierare in pista il sottosegretario Ivan Scalfarotto: se la sfida tra Emiliano e Fitto dovesse risolversi al fotofinish, i voti «mancanti» di Italia Viva potrebbero rivelarsi decisivi.
Fitto, presidente della Regione dal 2000 al 2005 e poi sconfitto da Nichi Vendola, corre con le insegne di Fratelli d’Italia e nelle ultime tre settimane ha potuto contare sul supporto costante e giornaliero dei leader nazionali del centrodestra. Un segnale di unità che rende evidente la voglia della coalizione di riprendersi la Puglia, forte anche del vantaggio nei sondaggi ufficiali. Emiliano ha dalla sua il blocco dei sindaci (tutti i capoluoghi tranne Foggia sono guidati dal centrosinistra) e dunque un esercito di portatori di voti, ha potuto schierare il leader pd Nicola Zingaretti e una pattuglia di ministri importanti a partire da Francesco Boccia, ma non ha avuto - come aveva sperato - il traino del presidente del consiglio Giuseppe Conte, rimasto alla finestra per non caricare di significato politico il voto regionale.
E dunque l’appello di Emiliano al «voto utile», rivolto al blocco grillino, è uno dei temi di queste elezioni. Il voto disgiunto per fermare il ritorno delle destre - leit motiv della campagna elettorale del centrosinistra che ha visto anche il ritorno in campo di Vendola - potrebbe avere un peso non secondario per dare ad Emiliano i numeri di cui ha bisogno.
Il disgiunto è un meccanismo difficile (l’elettore deve mettere la crocetta sul nome di uno dei candidati governatori, poi barrare il simbolo di una lista di un altro schieramento e scrivere il nome dell’aspirante consigliere), difficilmente controllabile e comunque esercitabile anche contro chi lo ha auspicato. I grillini, con la Laricchia che gli ultimi sondaggi hanno dato lontanissima dalla possibilità di diventare presidente, hanno lanciato una campagna feroce contro questa possibilità: venerdì sera a Bari è tornato in piazza Alessandro Di Battista secondo cui «non si può votare turandosi il naso perché la cabina non è un cesso pubblico». Anche i grillini, però, hanno problemi di fronde: il consigliere uscente Mario Conca, che corre da solo dopo essere stato epurato dalle liste pentastellate, potrebbe togliere alla Laricchia quel punto percentuale che vale un seggio in più.
Nel 2015 Emiliano vinse con 793mila preferenze su 1.825.000 votanti, con una affluenza del 51,16% e dunque con il favore di poco più del 40% dei circa tre milioni e mezzo di elettori. Stavolta l’affluenza potrebbe essere ancora più bassa, per effetto dell’emergenza covid e delle misure di sicurezza ai seggi che potrebbero rendere molto più lunghe del normale le operazioni di voto. Secondo alcuni osservatori il calo dell’affluenza potrebbe favorire Emiliano per via della maggior incidenza teorica del voto organizzato conseguente al maggior numero di candidati messi in pista. Ma anche su questo aspetto è impossibile fare previsioni. [m.s.]