L'INTERVISTA
Parla Buffagni (M5S): «in Puglia persa occasione di fare quadrato su Laricchia»
Il viceministro: Emiliano avrebbe conservato un ruolo chiave sia nella regione che a Roma, ma hanno prevalso logiche egoistiche. «Niente scissioni ma serve un momento di riflessione. Al capo politico preferisco una organo collegiale in cui discutere»
Stefano Buffagni (M5S), viceministro allo Sviluppo Economico, in Puglia per incontrare imprese e cittadini, il Movimento fa professione di unità ma per molti, soprattutto dopo l’emendamento «sgambetto» a Conte, la scissione è alle porte. Il rischio è concreto o è solo fantapolitica?
«Non credo ci sia stato alcuno sgambetto al presidente del Consiglio che sta portando avanti un lavoro straordinario. Ritengo piuttosto ci sia, nel Movimento, una esigenza di confronto. Sarà utile rivedere gli obiettivi, le priorità, le strategie per continuare una costruzione, ma senza dimenticare che il Movimento 5 Stelle è al governo e bisogna essere concreti».
Il nodo critico sembra quello della leadership. Quale modello preferisce? Una guida di tipo collegiale o la figura del capo politico?
«Sono convinto che un ufficio politico, certamente con un primus inter pares, sia la soluzione migliore. Sarebbe un luogo in cui potersi aggiornare, coordinare, confrontare e prendere decisioni. Ma anche condividere criticità e responsabilità. La strada è quella».
Al di là dei nodi interni, la linea di divisione è il voto del 20 e 21 settembre. Cominciamo dal referendum. Le obiezioni al «sì» sono tante, una fra tutte la contrazione della rappresentatività che subirebbero alcune regioni, a cominciare da quelle del Sud. Ne avete tenuto conto?
«Il referendum nasce da una promessa fatta agli italiani che ci impegniamo a mantenere. Ci saranno meno parlamentari, e quindi meno costi, e questo varrà per tutta la penisola. Sarà quindi necessario riflettere sulle successive riforme costituzionali e soprattutto pensare a come rintracciare i candidati migliori su tutto il territorio perché spesso oggi non c’è un collegamento diretto tra politica e cittadini»
L’altro tema caldo è quello delle regionali. In Puglia il M5S non ha imbastito alcun accordo con il Pd. La candidata Antonella Laricchia corre da sola. Una giusta decisione?
«Sono convinto che le forze di Governo abbiano perso una grande occasione in Puglia. Potevamo, tutti insieme, sostenere Antonella Laricchia per infondere energie di cambiamento dopo anni in cui i due sfidanti alternativi sono stati, oggettivamente, una minestra riscaldata. Emiliano avrebbe comunque conservato un ruolo importante sia in Puglia che a livello nazionale. Hanno però prevalso le logiche egoistiche».
Ma il governatore uscente non ha mai manifestato la disponibilità a farsi da parte….
«E infatti un matrimonio non può nascere quando uno impone le cose da fare e non si ragiona su un progetto comune. Il Movimento è fatto di idee, di visione e di persone capaci di rappresentare quel cambiamento».
Il tema delle alleanze però resta. Dopo il voto su Rousseau, Movimento si sta avviando a diventare una forza stabile dell’area progressista?
«A me non interessano queste discussioni, molto stucchevoli per i cittadini. Abbiamo la responsabilità di ottenere risultati importanti, soprattutto per il Mezzogiorno. Le idee camminano sulle gambe delle persone, certo, ma prima bisogna discutere di contenuti. Altrimenti si parla di poltrone e a me questo discorso non interessa, così come quello sulle etichette. Nessuno può utilizzare il Movimento o i suoi voti come si fa con gli utili idioti».
Ritiene che l’esito del referendum e delle consultazioni regionali possano compromettere la tenuta delle alleanze e dunque il cammino dell’esecutivo?
«Secondo me queste elezioni metteranno un punto interrogativo su partiti e movimenti, imponendo la revisione delle agende. Ma non si può mettere in discussione tutto ogni due mesi, il governo deve andare avanti senza essere ingessato ma con la capacità di rispondere, anche attraverso i cambiamenti necessari, alle sfide che abbiamo davanti».
Tra questi i cambiamenti c’è anche l’ipotesi di un rimpasto?
«Questo termine non mi piace, piuttosto preferirei parlare di un cambio di passo. Il Paese nutre grandi aspettative, bisogna garantire l’ascolto di tutti i territori ma senza chiudersi in una visione ristretta».
Veniamo ai temi economici. Quanto il Mezzogiorno peserà nelle scelte di spesa del Recovery Fund? C’è chi sostiene che quei soldi dovrebbero servire principalmente ad aiutare il Nord, più colpito dalla pandemia.
«Chi suggerisce questa idea non ha capito nulla di come dovrebbe funzionare un Paese con una economia solida. L’Italia riparte se investe in maniera intelligente sulle peculiarità di ogni territorio, ma per il Sud è necessario raddoppiare gli sforzi. Se rimane indietro una parte del Paese fa da zavorra a tutto il processo di sviluppo»
E quindi quali sono, secondo lei, le priorità per il Sud da mettere realisticamente in cantiere con le risorse disponibili? E che ruolo dovrebbe giocare lo Stato in questa partita?
«Penso alle infrastrutture, all’innovazione tecnologica, con particolare attenzione alla fibra ottica, e alla formazione dei giovani per evitare che fuggano all’estero. Lo Stato deve avere un ruolo di coordinamento con gli enti locali perché non si può pensare che le imprese possano farcela da sole, senza un piano complessivo di sviluppo. Serve una visione ampia ispirata alla concretezza e non alla spartizione di potere».
Uno dei nodi critici resta l’ex Ilva. Quale futuro per l’acciaio italiano?
«Il ministro Patuanelli sta gestendo il dossier con la massima attenzione. Il tema è complesso, ma la direzione è quella della decarbonizzazione perché, come il Covid ha dimostrato in tutto il mondo, sulla salute non ci possono essere mezze misure»
Cosa pensa del Mes? I tifosi del Salva-Stati sostengono che, a beneficiare di quei fondi, potrebbe essere proprio la sanità meridionale.
«Credo che bisogna aver la forza di correre per avere progetti su cui spendere soldi e con il Recovery Plan potrebbero arrivare immediatamente anche 20 miliardi sulla sanità. Ma serve sapere dove spenderli per evitare uno spreco di risorse. Da questo punto di vista, il Sud non può più permettersi di perdere risorse magari per una mancata programmazione politica».