Tifosi contro il fischio di ripresa a metà giugno. Hanno cominciato gli Ultrà del calcio, si sono unite tifoserie di mezza Europa non solo calcistiche. Fa strano dover raccontare di fedelissimi della Curva senza voglia di rito, anche quando l’altra curva, quelle dei contagi Covid-19 rallenta e diminuisce il numero dei morti. I califfi della ripartenza osteggiati dai liturgici delle spalti che vogliono il calcio ancora a bagnomaria. Chi l’avrebbe mai detto?
«Stop football» è stato esposto martedì 20 davanti ai cancelli della Gradinata Nord dello stadio di Genova, quella della Brigata Speloncia. E lunedì 18: «No al calcio senza tifosi» (gruppi «5R», sempre della Gradinata Nord). È da più di un mese che le cancellate degli stadi vengono tappezzate di «lenzuoli» di dissenso. Con qualche eccezione: all’ospedale Mauriziano di Torino, la Maratona, la curva degli Ultrà granata, ha ringraziato medici e infermieri a caratteri cubitali: «Le parole non servono a niente se non ricorderemo che avete salvato la vita alla gente». La carrellata degli striscioni evidenzia però in prevalenza frasi di rabbia. «Ma quale ripartenza/ per noi non c'è partita/ Brescia vuole rispetto/ per chi ha perso la vita» (stadio «Rigamonti»). «Il vero virus da debellare/ siete voi che volete tornare a giocare» (al «Filadelfia» di Torino). «Non siamo complici dei vostri interessi/ un calcio al pallone non cancella i decessi/ Questa è la nostra mentalità / il gioco finisce qua». («Olimpico» di Roma, la Sud giallorossa).
C’è anche il Tacco d’Italia tra i sostenitori della clausura pallonara: «Come potete dopo un gol esultare/quando le bare sono ancora da contare». E per essere più espliciti, all’esterno del «Via del Mare» di Lecce che ospita l’unica Puglia di A, un lenzuolo bis: «Si continua a morire ma per voi conta ripartire/ Contro il vostro calcio nessuna resa nessuna ripresa».
Ma è stato il comunicato internazionale, firmato da 150 tifoserie di tutta Europa ad aver fatto il giro di mezzo mondo. I punti d’attacco, sostenuti nella nota, non fanno una grinza: «Siamo fermamente convinti che scenderebbero in campo solo ed esclusivamente gli interessi economici. Lo conferma il fatto che i campionati dovrebbero ripartire a porte chiuse, senza il cuore pulsante di questo sport popolare: i tifosi». Eccola, finalmente, al ferita scoperta: «Chiediamo agli organi competenti di mantenere il fermo delle competizioni calcistiche fino a quando l’affollamento degli stadi non tornerà un’abitudine priva di rischi per la salute collettiva». No stadio, no parti(ta).
C’è l’altra fetta del cielo delle Curve che è rimasta in silenzio per ragione di calcolo: se non si riallacciassero gli scarpini, addio ai sogni promozione (vedi il Bari) o salvezza del club del cuore. Quindi, nessuna sorpresa: non c’è una «morale del morbo» che il tifo organizzato sia in grado di far prevalere sulla logica dell’avanti march. Attacchi, silenzi, pressing e mediazioni sono il diritto e il rovescio di un ricamo che condivide la stessa trama: tutti hanno interesse a occupare spazio perché il dividendo che più paga è la visibilità.
Nessuna sorpresa, da sempre convivono due culture: quella secondo cui si gioca per far vincere il meglio e quella del conflitto calcolato. È il calcio «fatto sociale totale». Che taglia trasversalmente economia, politica, sport, spettacolo. E che spacca le tribù dello stadio a ogni costo e divide i califfati dei diritti tv.